giovedì 19 gennaio 2012

Storia. Quattro cospiratori pistoiesi nella Russia zarista (mercoledì, 21 marzo 2007)


mercoledì, 21 marzo 2007

Storia. Quattro cospiratori pistoiesi nella Russia zarista

  

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L’Est, terra di libertà. Tra Russia, Polonia e Lituania, le cospirazioni e i successi professionali di quattro pistoiesi dell’Ottocento


Seguendo gli itinerari di alcuni toscani dell’Ottocento, sorge spontanea la domanda sul perchè, nei primi anni della Restaurazione, avvenuta, com’é noto, in seguito al Congresso di Vienna del 1815, non pochi intellettuali e patrioti, emigrassero nei paesi dell’Impero Zarista, che storicamente non ha mai goduto di eccessiva considerazione come “patria delle libertà”.  “Questa scelta - ci dice il prof. Renato Risaliti, noto slavista dell’Università di Firenze - non fu casuale perché in quel periodo il sovrano russo Alessandro I giocò la carta della politica anti-austriaca e pseudo liberale in opposizione all'Austria di Metternich”. Ma ben presto, col nuovo zar Nicola I, fratello del precedente, insediato il 14 dicembre 1825, giorno della fallita rivolta decabrista, l’autocrazia zarista getterà la maschera e la Russia diverrà “il gendarme d'Europa”. Fino agli attuali studi di Risaliti, effettuati sui fondi della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia e negli archivi russi, quasi nessuno sapeva che ben quattro pistoiesi, Ercole Gigli, Nicola Monti, Sebastiano Ciampi e Luigi Cappelli, emigrati negli anni della Restaurazione nell’impero zarista, ebbero contatti di varia misura ed entità con alcuni dei congiurati che stavano preparando il moto insurrezionale decabrista. La lunga ricerca, che prossimamente il Professore pubblicherà in volume, prende in esame i primi anni  dell'Ottocento quando in Russia andava organizzandosi il movimento antizarista e nella Penisola italiana si delineavano il potere della massoneria e gli aneliti indipendentisti delle vendite carbonare. Su questo sfondo Risaliti analizza e svela, attraverso gli intriganti contatti di questi intellettuali pistoiesi con alcune autorevoli personalità dell' impero russo,  il sotterraneo intreccio  fra massoneria, carboneria e decabrismo. Ma chi erano i quattro emigrati pistoiesi?
Di Ercole Gigli (?-1824) non si sa molto, ma proprio per questo ci sembra la figura più interessante dal punto di vista cospirativo. Medico all’Ospedale di Pistoia, docente all’Università di Pisa, fu autore non solo di studi specialistici, ma anche, fra gli anni ‘80 e ‘90, di alcune rime pubblicate in città assieme a quelle di Pagnini, Matteini, Puccini, Ciampi, ed altri. Gigli fa parte di quell’entourage liberale che inizialmente accoglierà con favore l’arrivo delle truppe francesi, ma che poi rimarrà profondamente deluso dal periodo napoleonico. Nel 1815, in piena Restaurazione, un rapporto del commissario Cercignani, lo segnala come carbonaro assieme a Monti, Sozzifanti ed a tanti altri. Poco dopo quella data nelle cronache pistoiesi non si trovano più tracce del medico, ma da studi effettuati da storici russi sappiamo che in quegli archivi è segnalata, proprio negli anni immediatamente successivi, la presenza nell'Impero di un “Mariano Gigli” di cui la polizia zarista non specifica né età, né provenienza. Probabilmente il Gigli si recò a Pietroburgo con  il pittore Nicola Monti, suo amico di gioventù e sodale di fede carbonara e dovette cambiare il proprio nome in Mariano proseguendo, con questa nuova identità, quella sua attività di propaganda rivoluzionaria così ampiamente attestata dalle fonti russe. In Russia visse spostandosi molto e svolgendo attività di insegnante e di istitutore, entrò nella loggia Chierut (Libertà) finché nel 1824 morì di febbri. Non a caso nel 1926 lo zar Nicola I ricordò al diplomatico piemontese De Salle che un italiano, morto due anni prima, era stato seriamente implicato nella preparazione del moto decabrista. Tutto ciò fa presumere che Ercole e Mariano Gigli fossero la stessa persona, ma ovviamente – ci dice Risaliti – non c'è la certezza matematica: occorrerebbe trovare conferma in qualche nuovo documento d'archivio, cosa molto difficile, visto che i cospiratori non lasciano in giro molte tracce e che si tratta di fatti risalenti a quasi duecento anni fa.
Del pittore Nicola (o Niccola) Monti (1770-1864) sappiamo ben più: allievo di Luigi Sabatelli e poi di Pietro Benvenuti all'Accademia fiorentina di Belle Arti fu, tra l'altro, autore delle decorazioni di un soffitto di Palazzo Pitti e di affreschi nella cattedrale di Pistoia. Nel 1818 si recò in Polonia, invitato da Paolo Cieszkovski per decorarvi il suo palazzo e una chiesa, e viaggiò in Russia, a Mosca e San Pietroburgo. Coltivò con successo la litografia ed è anche noto per i suoi numerosi articoli e trattati in materia d'arte e per le pagine autobiografiche del volume Poliantea (1829) e delle Memorie inutili (1860). Del Monti, le cui modeste doti pittoriche – come nota Risaliti – non bastano a giustificare le importanti commissioni ricevute dai notabili zaristi, emerge il ruolo di doppio agente: da un lato di fiduciario del governo russo in virtù dei servigi prestati in funzione anti‑austriaca, dall'altro di incaricato dei contatti con le organizzazioni decabriste russe per i meriti acquisiti in patria come dirigente dei carbonari di Bologna.
Nota invece, e ben oltre l' ambito pistoiese, la figura del sacerdote Sebastiano Ciampi (1769-1847) studioso che, come rileva il Prof. Giancarlo Savino, riuscì a guadagnarsi frai contemporanei “una robusta fama”, ma una stima “molto alterna.”  Filosofo, archeologo, grecista e storico particolarmente apprezzato per i suoi studi sul medioevo italiano, insegnò dialettica e lingua greca all'Università di Pisa. Ben presto cominciò però a tirare una una brutta aria per il  pistoiese: le invidie ed i dispetti dei colleghi per la sua solida preparazione si sommarono a qualche anonima mano che tracciò sul muro della sua casa pisana le oltraggiose scritte di “prete infame” e “prete puttaniere”, effetti degli echi che aveva suscitato la sua peccaminosa passione per la giovane perpetua Rosa Benedetti con la quale viveva more-uxorio. L'abate accettò quindi di buon grado nel 1817 la cattedra di filologia e di storia comparata delle lettere e delle belle arti della appena istituita Università di Varsavia, capitale del neonato Regno di Polonia, stato vassallo dello zar , dove rimase, con la sua “Rosina”, fino al 1822. Successivamente rientrò in Italia come inviato dell’Ateneo polacco, tornando nel Paese baltico solo per un breve periodo, nel 1830. Gli ultimi anni di Ciampi furono tormentati da violente crisi di follia  a cui seguì la morte, avvenuta in Firenze il 14 novembre 1847. Lasciò tutti i suoi manoscritti alla Biblioteca Forteguerriana dove sono conservate anche le sue numerose opere di erudizione storica e letteraria e quelle, per molti versi preziose, sulle relazioni culturali con la Polonia e con la Russia.  Gli studi di Risaliti confermano che Ciampi non fu direttamente implicato in complotti, tuttavia egli divenne un punto di riferimento per tutti gli italiani che si recavano nell'impero zarista, come ad esempio il noto conte fiorentino Luigi Serristori, ed in questo suo ruolo fu, giocoforza, amico di alcuni cospiratori, come il sopra ricordato Nicola Monti, che nel 1819 Ciampi provvide ad introdurre negli ambienti “che contano”.
Inoltre dai carteggi conservati nell'archivio dell'abate emergono inedite e preziose informazioni sulla vita privata e politica di un altro pistoiese, Luigi Cappelli (1775-77 c.a.-1839), che fu dal 1803 al 1837 professore di diritto civile e canonico nell'Università di Vilna, in Lituania e che tenne per lunghi anni corrispondenza epistolare con l'illustre concittadino. Risultano di particolare interesse i rapporti del Cappelli con Johachim Lelewel, membro della società segreta dei Filareti, divenuto anch'esso professore all'Università di Vilna, proprio grazie ai buoni auspici del Cappelli. Lelewel, conosciuto anche dal Monti, dopo aver fatto parte del governo provvisorio lituano seguito all'insurrezione antirussa del 1830, fuggì a Parigi, dove tenne stretti rapporti con il russo Gercen e con Giuseppe Mazzini. Dall’attività epistolare del Cappelli, di indubbio interesse, apprendiamo tra l’altro che il pistoiese, dopo una lunghissima permanenza in Lituania, riuscì a rivedere la sua città solo al termine della vita: poco dopo, nel 1838,  morirà a Firenze. 
Gigli, Monti e, soprattutto, Ciampi e Cappelli, al di là della portata del rispettivo coinvolgimento cospirativo nelle vicende italiane e russe, furono tuttavia,  secondo Risaliti, “energie preziose e di grande potenzialità che Pistoia e l'Italia tutta non seppero valorizzare”, per questo dovettero prestare le loro conoscenze a paesi e popoli stranieri,  “ultimi italiani cosmopoliti che resero grande e famoso il nostro paese all'estero”.
                                                                        
                                                           Carlo Onofrio Gori



Articolo comparso su: "Microstoria", n. 45 (gen.-feb. 2006).

Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore. Карло Онофрио Гори                                                           Carlo Onofrio Gori  cog@interfree.it





Commenti:
 

#1 24 Marzo 2007 - 12:55
Da Adriana Miniati: ricevo da Gianfranco La Grassa., doc. di Economia politica a Pisa, ora in pensione e trasmetto.

Meglio tenerlo presente, non si sa mai



Gli USA attaccheranno l’Iran il 6 aprile.



Lo afferma, sul settimanale russo «Argumenti Nedely», Andrei Uglanov, che pare avere fonti informative dei servizi di Mosca.

L’operazione sarebbe stata battezzata «Bite» (Morso) perché non prevede nessuno sbarco o invasione, ma una serie di bombardamenti, della durata di dodici ore (dalle 4 del mattino alle 16), contro una ventina di obbiettivi e installazioni nucleari iraniane. Saranno le squadre di B-52 in decollo dalla base Diego Garcia, nell’Oceano Indiano, e armate di bombe e missili, a colpire. Questa prima ondata sarebbe seguita da altre, effettuate con aerei in decollo da altre basi Usa nella zona, nel Golfo e in Afghanistan.

Secondo Uglanov, Mosca ha già informato Teheran, ma chiarendo che la Russia non interverrà nel conflitto.

«Piú volte la Russia ha invitato Teheran ad attenersi alle proposte della commissione internazionale per l’energia Atomica (Iaea), e se Teheran non vuole accettare, il nostro Paese non può trovarsi coinvolto in un’avventura tragica», scrive Uglanov: «La Russia non può partecipare ai giochi anti-americani».

Da settimane Mosca segnala che non si farà manovrare da Teheran nei suoi «giochi anti-americani», che se Ahmadinejad spera di trattare la seconda potenza nucleare come un suo fantoccio, si sbaglia di molto. Putin, i cui tecnici stanno installando la centrale iraniana di Bushehr, aveva offerto in passato di arricchire l’uranio iraniano nelle sue centrali, sotto garanzia internazionale; Ahmadinejad ha sempre rifiutato. Ora Mosca, rende noto la Reuter, minaccia ancora di interrompere le forniture di combustibile atomico a Bushehr, se Ahmadinejad non fermerà il programma di arricchimento come chiesto dal Consiglio di sicurezza.

L’avvertimento è stato dato da Igor Ivanov, segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale russo, ad Ali Hosseini Tash, un alto diplomatico iraniano. Lo stesso ministro degli Esteri Sergei Lavrov avrebbe confidato a diplomatici europei che la decisione di non fornire piú combustibile a Bushehr era frutto di una decisione politica di Mosca, non una questione di pagamenti mancati del materiale.

Ahmadinejad non è il nuovo Hitler, ma è stupido se crede di poter giocare la Russia contro gli Usa, e determinare lui, a capo di un paese di peso irrilevante nel gioco delle grandi potenze, la politica estera di Mosca.

Sta andando verso l’ineluttabile.



Secondo i russi, l’attacco americano ormai imminente metterà in ginocchio la popolazione persiana, e potrà portare alla caduta di Ahmadinejad (già ai livelli piú bassi) se non dell’intero regime degli ayatollah. Verrà sconvolto l’assetto sociale interno, e il prezzo del petrolio potrà salire – essendo la regione già destabilizzata dall’occupazione dell’Iraq – fino a 200 dollari il barile.

Ma anche per gli USA una nuova fase bellica può riservare amare sorprese, sulla sua economia e sul dollaro. Ma «bisogna» obbedire a Israele. Una nostra fonte, che cita un suo informatore della Cia, ci conferma l’attacco per i primi di aprile. E una conferma almeno indiretta viene da Israele, che ha invitato i suoi cittadini a non viaggiare in una quarantina di paesi (la lista è lunghissima, e comprende l’intero mondo musulmano e l’Africa) come prevedendo reazioni inferocite alle prime immagini del bombardamento a tappeto.

«Ci stiamo preparando a scenari di guerra su vari fronti», ha detto anche il ministro della Difesa giudaico Amir Peretz: «Non faremo compromessi nella guerra al terrorismo. Coloro che rifiutano di riconoscere Israele rifiutano la pace», ha aggiunto. L’ex capo di Stato Maggiore Moshe Ya’alon è stato ancora piú esplicito. Ha definito «inevitabile» il conflitto con l’Iran, e – come fanno da tempo lui e i suoi pari – ha rimproverato l’Occidente, che non vuole andare in guerra per Israele, in quanto è «debole», e questo «avvicina il conflitto anziché allontanarlo». Ahmadinejad, ha detto, «ha dichiarato guerra all’Occidente e alla sua cultura» (sic). Insomma gli ordini di Giuda all’Occidente sono stati dati.

Lo ha fatto Olmert nella riunione dell’Aipac (American Israeli Political Committee) a Washington il 12 marzo scorso, davanti a una platea di politici, parlamentari e candidati presidenziali democratici, che ha rimproverato per la loro «debolezza»: «Sono sicuro», ha detto, «che tutti voi che siete preoccupati della sicurezza e del futuro dello Stato di Israele comprendete l’importanza di una forte leadership americana per affrontare la minaccia dell’Iran, e sono sicuro che voi non intralcerete né frenerete questa forte leadership (di Bush)». La voce del padrone ha parlato al potere americano, a casa sua, con questo tono.



Sembra confermare i preparativi per il bombardamento dell’Iran anche l’esercitazione congiunta Usa-Israele completata la settimana scorsa. Battezzata «Juniper Cobra 2007», l’esercitazione simulava «lanci missilistici non-convenzionali» e tra l’altro mirava a mettere a punto il sistema d’intercezione anti-missile israeliano «Arrow» in coordinamento con la rete, sempre israeliana ma prodotta in USA, dei missili Patriot. Allo scopo evidente di parare una possibile reazione iraniana.

Ya’alon ha reso abbastanza chiaro che, in coincidenza con l’attacco aereo americano all’Iran, Israele combatterà «su vari fronti contemporaneamente», riecheggiando Peretz e probabilmente alludendo alla «soluzione finale del problema palestinese» da mettere a segno mentre il mondo sarà distratto dall’incenerimento dell’Iran, e alla rivincita in Libano contro Hezbollah. Qui, la ripresa della guerra è necessaria perché Hezbollah ha scosso «la deterrenza di Israele», e tale deterrenza va ricostituita. Ya’alon ha definito quella palestinese «una cultura di morte» (sic). «Finché non metteranno nei loro libri di testo la menzione di Israele, continueremo a combatterli», ha detto.

Anche il generale egiziano Mahamoud Khallaf, intervistato dallo Eir, ha confermato sostanzialmente l’attacco imminente.

«La situazione si è volta a favore di Bush, purtroppo», ha detto il generale: «L’Iran ha tentato di giocare una parte superiore a quella di potenza regionale, e Bush ha avuto buon gioco a persuadere il Congresso USA che Teheran minaccia interessi americani. L’Iran ha anche minacciato Israele, e nessuno ignora il ruolo della lobby ebraica in USA. L’Iran è guardato come un elemento di disturbo dai sunniti in Egitto, Arabia Saudita, Libano… io e molti altri abbiamo sostenuto a lungo l’Iran. Ma ora l’opinione pubblica in Egitto è contro l’Iran». Secondo il generale Khallaf, «Bush ha mandato quei 21.500 uomini in piú in Iraq non per stabilizzare Baghdad, ma per preparare il colpo contro l’Iran. Il mandato di Bush sta per finire, e per determinare un cambiamento in Medio Oriente, egli deve fare qualcosa di drammatico. I neocon non lasceranno la Casa Bianca con il Medio Oriente nello stato attuale». Lo renderanno sicuro per Israele


Mario Monforte
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#2 26 Marzo 2007 - 12:10
Carissimo, martedì è un'altra giornata decisiva per la sopravvivenza del Governo Prodi, cioè di un governo che ha ottenuto il voto e la speranza di cambiamento di quella parte del popolo italiano che si riconosce nel movimento per la pace.
Nei dieci mesi che sono passati, alcune scelte fatte da Prodi e dal suo Governo(volute e imposte da quell'area centrista che vuole unificarsi nel cosiddetto Partito Democratico), hanno suscitato molta delusione nel popolo pacifista e, anche a mio parere, queste scelte non hanno nessuna giustificazione(e non erano scritte nel Programma di 281 pagine presentato in campagna elettorale): mi riferisco in particolare al notevole aumento delle spese militari e per acquistare nuovi armamenti (contenuto nella Legge Finanziaria per il 2007) e all'accettazione della richiesta del Governo Bush di raddoppiare la Base Usa di Vicenza (due scelte che il popolo della pace fa benissimo a continuare a contestare.... proprio perchè - ripeto - non hanno nessuna giustificazione).
Sulla questione dei militari italiani in Afghanistan, nel Programma di Governo non c'era una posizione chiara, anche perchè quella situazione è davvero assai complessa ed è terribilmente difficile avviare un percorso di pace e di democratizzazione: non a caso anche le donne Afghane che hanno dato vita al movimento Rawa chiedono una presenza internazionale per evitare di sprofondare nuovamente in una guerra civile, ma una presenza totalmente differente da quella attuale, cioè una forza dell'Onu per garantire la sicurezza e avviare un percorso di pace.
Una forza militare e civile che non sia composta «né dai paesi che oggi sono qui con una presenza militare, né da quelle nazioni che continuano ad interferire nella vita dell'Afghanistan come l'Iran, il Pakistan, l'Arabia Saudita».
Questa è la realtà dell'Afghanistan e, a mio parere, sbagliano tutti quelli che la riducono a slogan (spesso finalizzati solo a farsi propaganda strumentale) che offendono chiunque fa proposte che cercano di fare i conti con l'enorme difficoltà di quella situazione di guerra...: di seguito a queste brevi riflessioni troverete un documento firmato da personalità pacifiste (che possono essere insultate solo da chi è accecato dal fanatismo ideologico... sempre lontanissimo da qualsiasi percorso di pace) che, proprio per domani, hanno convocato un seminario a Roma per cercare di condizionare in positivo le scelte del governo italiano, nel senso di cercare una soluzione politica affidata al confronto e al dialogo ed evitando di far coinvolgere i militari italiani in azioni di guerra (perchè, se questo dovesse accadere, chi cerca oggi di evitare la caduta del governo Prodi non avrebbe più alcuna giustificazione per appoggiarlo).

Un caro saluto.
Giuliano 
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#3 27 Marzo 2007 - 07:09
ah, avevo dimenticato, ti saluto
Giuliano

Segue:
- Lettera di associazioni, reti e ong... per la pace e la giustizia in Afghanistan.
- Afghanistan, una politica di pace è possibile (Piero Di Siena, Senatore della Sinistra Ds)

- Un passo nella giusta direzione (Giovanni Russo Spena, Capogruppo Prc al Senato).
- Afghanistan, la natura di un conflitto (Randolph Ash).
- I talebani non sono un'unica realtà omogenea......
.......................................................................................................
Un percorso per la pace e la giustizia in Afghanistan.
Riflessioni e proposte della società civile.
Lettera di associazioni, reti e ong:
"Il governo italiano si adoperi in tutte le sedi per un cambio di rotta".

"Sei anni sono passati dall'inizio della guerra in Afghanistan. Le promesse di pace e benessere per quel popolo martoriato dal regime talebano e dai signori della guerra sono rimaste lettera morta.

E' opinione largamente condivisa che l'intervento internazionale finora messo in campo si sia rivelato un fallimento, e che la situazione si aggravi di giorno in giorno.
Nel paese dilagano fame, povertà, esclusione sociale, violenza, mentre i programmi di ricostruzione, giustizia, e cooperazione allo sviluppo subiscono continue battute d'arresto. Invece di progredire verso la pace e la riconciliazione, l'Afghanistan sta sprofondando nella violenza.

Noi chiediamo al Governo Italiano di intervenire in tutte le sedi internazionali, a partire dall'Onu dove si deve ridefinire il mandato della missione in Afghanistan, per promuovere un deciso cambio di rotta nell'atteggiamento della comunità internazionale.

Chiediamo all'Italia di aprire un ampio dibattito coinvolgendo la società civile afghana e i settori più consapevoli della politica, delle istituzioni, della società civile internazionale.

Siamo convinti che la società civile italiana possa e debba portare un contributo di esperienza e di competenza a questo impegno necessario.

Nel nostro paese negli ultimi mesi molto si è parlato dell'Afghanistan, poco però del popolo afghano, dei suoi bisogni, di come viene intesa e percepita la presenza occidentale.

Poco o nulla si è discusso e argomentato sulle possibili vie d'uscita politica e negoziale da quella che rischia di essere l'ennesima avventura militare dagli esiti disastrosi.

La questione afghana racchiude in sé molti elementi che vanno guardati in profondità tra cui la storia del paese, le sue contraddizioni e potenzialità, il rapporto con i vicini e in particolare il Pakistan ma anche con gli interessi geostrategici di potenze esterne alla regione, la questione delle basi militari, la vicenda del fondamentalismo islamico, la realtà dei talebani, la geopolitica dell'oppio.

Più in generale la guerra in Afghanistan rimanda ancora a nodi cruciali con i quali confrontarci anche in futuro: il ruolo dell'Onu e della comunità internazionale; le relazioni, spesso confuse e strumentali, fra le Nazioni Unite e la NATO; la sproporzione fra intervento militare e intervento civile nelle aree di conflitto; il senso, le finalità e la composizione delle missioni di pace.

Di fronte al fallimento dell'attuale intervento internazionale, sentiamo il dovere di ragionare sulle opzioni alternative a quelle finora praticate, condividendole con la società civile afghana".

Sottoscritto da:
Linda Bimbi(Fondazione Basso - Sezione Internazionale), Raffaella Bolini(ARCI), Luigi Ciotti (Gruppo Abele), Lisa Clark(Beati i costruttori di pace), Tonio Dall'Olio(Libera), Elisa Giunchi (Università degli Studi di Milano) Emanuele Giordana(Lettera22), Simona Lanzoni(PANGEA), Flavio Lotti e Grazia Bellini(Tavola della pace), Giulio Marcon(Lunaria), Sergio Marelli (Associazione ONG Italiane), Margherita Paolini(LIMES), Alessandro Politi(analista strategico e OLINT), Laura Quagliolo(CISDA), Gianni Rufini(Docente di aiuto umanitario e peace keeping Università di York), Raffaele K. Salinari(Terres des Hommes), Gigi Sullo(Carta), Gianni Tognoni(Tribunale Permanente dei Popoli), Michelguglielmo Torri(Asia Maior) Riccardo Troisi(REORIENT). Per parlarne, condividere esperienze e riflessioni, proponiamo un primo seminario che si svolgerà presso il Senato della Repubblica, ex Hotel Bologna in Via S. Chiara 5 il 26 marzo dalle ore 10 alle ore 14.
...............................................
10.2.2007 il manifesto
Afghanistan, una politica di pace è possibile
Piero Di Siena (Senatore della Sinistra Ds)

E se, in vista dell'approvazione del decreto sul rifinanziamento delle missioni militari all'estero, la maggioranza parlamentare che sostiene il governo Prodi provasse a discutere, in relazione al punto cruciale che riguarda la presenza italiana in Afghanistan, di che cosa sarebbe veramente utile per quel paese e i popoli che lo abitano?
La convergenza realizzatasi nel vertice dell'Unione sulla politica estera potrebbe per questo aspetto costituire un buon punto di partenza.
Se così si facesse, dunque, si capirebbe che gli afghani certamente non hanno bisogno dei bombardamenti a tappeto della Nato a cui sono sottoposte le regioni meridionali del paese, fatti in nome della guerra ai talebani ma destinati ineluttabilmente a colpire la popolazione civile. E, tuttavia, si scoprirebbe anche che, dal nostro punto di vista, quello dell'Italia, il problema vero, oggi, non è se le truppe italiane debbano ritirarsi o meno, e in quanto tempo debbano farlo, ma a servizio di quale politica esse siano poste. In verità, da parte della sinistra della coalizione da tempo si sta tentando di spostare il confronto su questo terreno, mentre la componente moderata dell'Unione si è attardata a spiegare che dall'Afghanistan è proprio impossibile andar via solo a causa degli impegni che abbiamo nei confronti dei nostri partner dell'Alleanza atlantica e verso l'Onu. Insomma, avanzando solo questioni di metodo e di opportunità. E, invece, sarebbe utile incominciare a spostare la riflessione partendo da un quesito diverso. Bisognerebbe interrogarsi, cioè, se non siano maturi i tempi nei quali la comunità internazionale si ponga il problema di iniziare a sanare le ferite prodottesi nei paesi vittime della guerra preventiva di Bush e della sua amministrazione. Questo dovrebbe valere ormai, forse, anche per l'Iraq. Bisognerebbe sicuramente provarci in Afghanistan.
Non si tratta di sottovalutare il fatto che la guerra di Bush non è ancora finita e che i colpi di coda dell'attuale amministrazione americana a partire dall'aumento del contingente statunitense in Iraq - anche in presenza di un suo progressivo isolamento rispetto all'opinione pubblica degli Stati Uniti - possono costituire per la pace nel mondo un pericolo maggiore della stessa azione di sistematica aggressione condotta all'indomani dell'attacco terroristico alle Torri Gemelle. Non è da escludere infatti che per sfuggire alla disfatta possano riprendere corpo all'interno dell'amministrazione americana le tentazioni, in verità ricorrenti, di allargare i focolai di guerra che si addensano nel Medio Oriente, dal Corno d'Africa alla Palestina, per finire all'Iraq e all'Afghanistan. Ma proprio per questo - cioè anche per scongiurare un'estensione dei conflitti - è necessario che si affacci sulla scena internazionale un'altra politica tesa a promuovere la pace e non a vincere una guerra come invece continua a pensare l'attuale esecutivo degli Stati Uniti.
Non debbono sfuggire le difficoltà che vi sono per una chiara azione di pace che sia promossa da una parte dell'Occidente e segnatamente dall'Europa. Ci vuole innanzitutto determinazione e autonomia. Insomma, la condotta italiana nella crisi del Libano deve diventare per gli europei la norma e non ridursi a una felice eccezione. Non bisogna arrendersi al corso della cose, soprattutto al conflitto senza quartiere che oppone nei paesi islamici, moderati e fondamentalisti, sciiti e sunniti, frutto dell'esasperazione a cui una guerra senza fine ha condotto quelle popolazioni e che a volte appare senza alternative.
Che conseguenze un simile atteggiamento deve avere per la presenza militare italiana in Afghanistan? Deve essere sempre più evidente che tale presenza debba essere finalizzata non a vincere una guerra contro i talebani - obiettivo che i fatti hanno dimostrato irrealistico - ma a contribuire a una pacificazione nazionale tra le diverse etnie, a limitare lo strapotere dei signori della guerra, a recidere o quantomeno allentare i legami tra fondamentalismo e terrorismo, a tutelare i più elementari diritti umani e civili così sistematicamente violati dal fanatismo fondamentalista. E' probabile che in prospettiva per realizzare questo obiettivi sia necessario un contingente europeo non inquadrato nella missione Nato. E la stessa conferenza internazionale di pace per l'Afghanistan non è quindi un contentino alla cosiddetta sinistra radicale italiana in vista del voto sulle missioni, ma dovrebbe avere questi scopi, creando il contesto internazionale, a partire da un'intesa con Iran e Pakistan, che possa aiutare a realizzarli. E' vero che una conferenza internazionale sull'Afghanistan non si può fare senza che siano anche gli americani a volerla, ma ciò non impedisce all'Italia di condurre una campagna politica e diplomatica, a partire dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu, per cercare di creare le condizioni perché possa alla fine aver luogo.
Dunque una svolta e un esplicito mutamento d'indirizzo nell'Unione nei riguardi della crisi afghana s'impone per tutte le sue componenti, partendo dalla consapevolezza che i problemi debbono essere affrontati in modo diverso da come lo si farebbe se fossimo...
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#4 27 Marzo 2007 - 07:20
leggevo ora gli interessanti interventi di Giuliano e di Mario e , e per quanto riguarda la notizia "giratami" da quest'ultimo, siccome mi sembra abbastanza grossa e per altro, in un certo senso, accreditabile dal recente viaggio della Rice nei paesi arabi, pertanto dicevo, se Mario e i suoi amici permettono, io la riprenderei pari pari e ci farei un post ché mi sembra più visibile per chi mi legge.
Grazie a tutti
Carlo
Grazie a t
La mia homepage: http://historiablogori.splinder.com Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Blocca questo utentegorca49

#5 30 Marzo 2007 - 17:10
LEGGO ORA: 6 SEMPRE GRANDE!
MAURO
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#6 23 Gennaio 2008 - 11:48
ho letto oggi su indicazione del prof. risaliti questo articolo perchè mi serviva per i miei studi ... mi è stato molto utile, complimenti all'autore!
rosaria frezza
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#7 20 Agosto 2008 - 17:26
buono anche questo...seppur in ritardo...un bacio...Anna C.
utente anonimo  (IP: bb4bcd669dfab02)

#8 06 Settembre 2008 - 17:22
Ormai non più giovanissima, sono da tempo appassionata di storia, specialmente di storia della mia città, Firenze, e di storia toscana ed anch'io ho scoperto ora il suo blog che un amico mi ha consigliato di visitare. E' veramente il suo un lavoro molto utile, documentato e spesso avvincente. Vedo che non riceve molti commenti da altri bloggers, ma questo penso sia una conferma della validità dei suoi scritti perchè la gran parte dei blogs che ci sono in giro propongono contenuti inutili, intimistici e autoreferenziali.
Bravo Gori, continui così.

Mara Poli

P.S.

Le segnalo nei commenti gli articoli che mi sono piaciuti di più.
utente anonimo  (IP: b95b5c27950963d)

#9 14 Aprile 2009 - 12:39
Decisamente interessante l'articolo sui "pistoiesi" decabristi.....non conoscevo per niente questa ricostruzione, sebbene abbia diversi libri di Sebastiano Ciampi (un quasi Avo) nella biblioteca di famiglia, mentre ho qualche scritto di un certo Cappelli professore presso l'Università di Napoli, o Salerno...adesso non ricordo bene..LE SCRIVO PERCHE? NEL SUO BLOG NON MI SEMBRA CI SIA NESSUN RIFERIMENTO AI PROCESSI DI EPURAZIONE TENUTISI A PISTOIA DOPO L?ARMISTIZIO::::HA QUALCHE RIFERIMENTO? IO HO TROVATO SOLTANTO POCHE COSE; QUALCHE SENTENZA E LETTERE DI FAMILIARI DEI DIPENDENTI DELLA SMI DI CAMPOTIZZORO...ringrazio se mi può far sapere qualcosa
Iacopo Bojola
utente anonimo  (IP: d92e39bc5f2a307)
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