giovedì 19 gennaio 2012

Letteratura. Carducci e le sue amicizie pistoiesi (martedì, 03 marzo 2009)

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martedì, 03 marzo 2009

Letteratura. Carducci e le sue amicizie pistoiesi

  

Giosuè Carducci e le sue amicizie pistoiesi: Louisa Grace Bartolini e Policarpo Petrocchi

Fra i vari appuntamenti “centenari” di questi ultimi tempi, passati “mediaticamente” pressoché in sordina, spicca quello di un illustre letterato e poeta toscano: Giosuè Carducci.
Le manifestazioni di un paio d’anni fa per il centenario della sua morte, avvenuta a Bologna il 16 febbraio 1907, malgrado l'impegno celebrativo di enti ed amministrazioni, soprattutto emiliane e delle provincie di Lucca e Grosseto, non hanno riscosso l’eco mediatico sperato: grava fatalmente sulla odierna popolarità del grande toscano la consacrata e “pesante” ufficialità alla quale pervenne,  principale causa di non poche delle fatiche scolastiche di passate generazioni di italiani costrette ad imparare a memoria molte delle sue poesie, fino a ieri onnipresenti sui libri di testo e delle quali invece troviamo oggi, nei manuali letterari scolastici, solo fuggevoli tracce.
Com'è noto Carducci approdò dalle inquietudini anarchicheggianti della sanguigna giovinezza, durante la quale con lo pseudonimo di Enotrio Romano, seppe interpretare meglio di chiunque altro l'anima democratica-giacobina, repubblicana e laica del Risorgimento, alle posizioni monarchico-conservatrici di una posata e sapientemente “costruita” maturità che lo  vide assurgere prima a “poeta vate della nuova Italia” per concludere poi nel 1907 con la definitiva consacrazione internazionale quale Premio Nobel per la letteratura, il primo assegnato ad uno scrittore italiano.
Parlare oggi di Carducci è quindi impresa non facile poiché, proprio per il suo percorso poetico e civile, l' illustre intellettuale appare a molti non solo distante da tutto ciò che impregna la vita attuale, ma sfugge anche a quelle suggestioni romantiche che, ad esempio, hanno reso anche sotto il regime sovietico e rendono tutt'oggi vivo e fanno amare a tanti russi un poeta morto già nella prima parte dell'Ottocento, come Puskin.
Tuttavia la personalità di quello che nella maturità fu definito il "poeta di Casa Savoia", proprio perché a suo tempo eccessivamente esaltata, paradossalmente resta a tutt'oggi non sufficientemente indagata: una figura di   autore e grande professore protagonista di un’epoca con tanti aspetti che sul piano umano e storico-letterario meritano attenzione proprio perché l'evoluzione degli umori della sua poesia rispecchiano fedelmente quelli dell'Italia borghese tra la fine del  Risorgimento e gli anni delle sue prime manifestazioni nazionalistiche e dei suoi (velleitari) aneliti imperialistici.
A Pistoia due lapidi dedicate alla breve permanenza di Giosuè Carducci nel 1860, una posta a lato dell'ingresso del già Liceo Forteguerri (oggi Biblioteca Forteguerriana) dove il poeta insegnò  e l'altra all'altezza del  n. 23 dell'omonima via (a suo tempo via dell'Amore) dove abitò, ricordano che tuttavia il poeta ebbe un rapporto importante con la città toscana.
Nel 10 gennaio 1860 il venticinquenne promettente  poeta vi mise  piede per la prima volta, per iniziare le lezioni il giorno successivo. Fino a  tre anni prima aveva insegnato retorica al Ginnasio di S. Miniato al Tedesco dove Ristori, il 23 luglio 1857, aveva stampato la sua prima raccolta diRime, poi nel dicembre 1859, era arrivata la nomina che per l'anno scolastico 1859-60 lo destinava, per trasferimento da Arezzo, alla cattedra di lingua e lettere greche  al Liceo Forteguerri, (che aveva sede allora come  la avrà fino al 1924 nel  Palazzo della Sapienza) con stipendio di duemila franchi annui: un po' di respiro economico per il poeta che  in seguito alla tragica morte del fratello Dante (1857) e del padre, medico a S. Maria a Monte (1858), aveva ormai sulle spalle tutta la famiglia che campava lavorando alla collezione Diamante dell'editore fiorentino Barbèra.
Inizialmente in Pistoia abitò da solo, tornando il venerdì dopo le lezioni a Firenze, dove risiedeva la famiglia. La città di Cino gli piacque subito come testimonia una lettera scritta alla moglie il  10 gennaio:  « ... più che si vede, più apparisce bella città: magnifiche, larghe vie, bei fabbricati, monumenti d'architettura e d'arte non punto volgari » , ed un'altra inviata il 12 ad un amico pisano:   « In Pistoia spero star bene; bella città ariosa, di larghe vie, toscana di monumenti, ricordanze e lingua ». Tuttavia i motivi pratici prevalsero ed il poeta poco più di una decina di giorni dopo il 24 gennaio si raccomandava a conoscenti invocando i loro buoni uffici per un  trasferimento al Liceo di Firenze:  «...ciò più di ogni altra cosa, varrebbe ai miei studi..., che in Firenze potrei meglio seguitare per le facoltà a grandi che dà la città» (lettera a Salvagnoli, ministro dei Culti nel Governo provvisorio toscano), mentre nella lettera al Gotti faceva leva su motivi economici: «... perché lo stipendio che ora ho, in città di provincia, priva per me d'ogni altro modo di guadagno, non basta alla famiglia mia ». Le raccomandazioni evidentemente non funzionarono pertanto nel febbraio lo raggiunse la famiglia allora composta dalla moglie Elvira, dalla madre Ildegonda, dal fratello Valfredo e dalla piccolissima figlia Bice e tutti andarono ad  abitare a casa Procacci in via dell'Amore,  dove poi, per le onoranze carducciane del giugno 1921 venne apposta  la lapide, dettata da Alessandro Chiappelli, che lo ricorda come educatore della «gioventù pistoiese ai grandi destini della Patria risorta ». Già, la Patria...il periodo della permanenza del Carducci a Pistoia coincide infatti con eventi che rappresentano  una svolta storica per l'Italia  e per la Toscana e  mentre la “Toscanina”, volontaria “orfana” del Granduca con il sommovimento del  27 aprile 1859, era retta dal governo provvisorio guidato da Ubaldino Peruzzi e si apprestava all'adesione plebiscitaria al nuovo Regno d'Italia, il generale Garibaldi stava mettendo le basi per la sua “impresa dei mille”. Il pistoiese Francesco Franchini, che Carducci incontra come direttore del Forteguerri è, nell'ambiente, la  rappresentanza tangibile di questi cambiamenti. Già combattente a Montanara e ministro dell'Istruzione Pubblica nei gabinetti Montanelli e Guerrazzi in seguito alla prima defenestrazione dei Lorena nel 1848,  con la restaurazione granducale si era rifugiato a Genova, per tornare a Pistoia richiamato nel maggio 1959 dal governo provvisorio toscano che con  decreto del ministro della Istruzione Pubblica Cosimo Ridolfi gli aveva affidato la direzione del Liceo cittadino. Al Forteguerri Carducci ebbe validi colleghi come ad esempio Pietro Bozzi, ordinario di diritto romano e patrio, e Giuseppe Tigri, direttore della Biblioteca Forteguerriana, (a quei tempi unita al Liceo) che nel 1856 aveva pubblicato i Canti popolari toscani, la sua opera più importante.
L'insegnamento del greco gli provocava non poca fatica e finalmente con decreto dell'11 marzo 1860 ottenne di passare alla cattedra di italiano e latino e per l'occasione tenne secondo l'uso del tempo, una pubblica prolusione “ ...troppo dotta per i dotti pistoiesi” come ebbe poi a  scrivere in una lettera a Giuseppe Chiarini del 3 maggio.  Mostrò  generalmente sempre scarsa stima per il mondo culturale pistoiese,  ma una prima eccezione la fece per Louisa Grace  aristocratica irlandese, molto colta ed innamorata dell'Italia che seguendo i consiglio della sua  guida spirituale don  Angelico Marini, originario di Barile presso Pontelungo, patriota e letterato,  aveva scelto di abitare a Pistoia fin dal 1841. Pittrice, letterata, traduttrice, la Grace, volendo proseguire la tradizione culturale di Niccolò Puccini (presso la cui casa aveva inizialmente abitato) in quegli anni fece della sua abitazione di via della Madonna  il ritrovo più dotto della città. Il salotto dell'amica Louisa,  fu per il poeta, fin dal primo invito del 12 gennaio  l'unico ambiente “frequentabile” durante la sua permanenza a Pistoia, oltre al Marini vi incontrò personaggi come Giovanni Procacci, Mariano Bargellini e vi invitò  i suoi giovani amici, il Chiarini e Giuseppe Gargani, gli «Amici pedanti». L'amicizia con Louisa rimase sempre forte anche dopo che questa il 17 febbraio 1860 si sposò quarantaduenne con l'ing. Francesco Bartolini di tredici anni più giovane e dopo che Carducci, uspice Terenzio Mamiani, otterrà nell'agosto la cattedra di eloquenza italiana in quell’'Università di Bologna iniziando dal novembre dello stesso anno un lunghissimo periodo di insegnamento che durerà fino al 1904.
Ma il Carducci anche dopo il trasferimento a Bologna non dimenticò l'amica ed  iniziò un carteggio costituito da venti nove lettere del poeta e quaranta della corrispondente, che durò fino alla morte di lei avvenuta il 3 maggio 1865:  corrispondenza interessante che ci offre uno spaccato dell'ambiente da cui il Carducci si distacca e di quello prestigioso in cui entra, ma anche denso di fatiche ed ansie di ogni genere.
Ma frequenti furono fra i due anche gli incontri, qualche volta a Bologna, ma soprattutto a Pistoia, anche in occasione di  incarichi ufficiali come quando il poeta nel 1867 fu chiamato a far parte di una commissione per il concorso ad alcune cattedre nel Ginnasio comunale e quando nel, 1877 fu ispettore ministeriale al Liceo Forteguerri.
Dopo la sua morte dell'amica, il Carducci scrisse su di lei il saggio critico « Louisa Grace Bartolini »  in cui viene reso omaggio più che alla pittrice o alla letterata, soprattutto all'esperta traduttrice e la divulgatrice in Italia del poeta statunitense Henry W. Longfellow (1807-1882) e dello storico Thomas B. Macaulay (1800-1859), l'autore dei Canti di Roma antica.
Interessante anche l'amicizia fra Carducci e Policarpo Petrocchi. Nel corso degli anni Carducci fu uno dei poeti più amati dal lessicografo pistoiese, a sua volta apprezzato dal  "vate della nuova Italia". In particolare, ricordiamo due episodi significativi delle loro frequentazioni: il primo dei quali riguarda la visita fatta dal Carducci a Cireglio, invitatovi da Policarpo quando questi, nel luglio del 1881, era andato a trovare il poeta nella sua dimora di Bologna, riportando, oltre alle lodi del padrone di casa per i suoi scritti (in particolare la traduzione dell'Assommoir), una buonissima impressione della città che vedeva per la prima volta, dei suoi abitanti e della vita che vi si svolgeva.
La visita venne ricambiata nell'agosto seguente, il giorno 4, dopo che Carducci, giunto in treno fino a Pracchia, in compagnia dell'avvocato Giuseppe Barbanti Brodano, giornalista e uomo politico socialista, fu accompagnato in calesse a Cireglio dallo stesso Petrocchi: visita del paese, escursione in montagna (al Sasso di Cireglio, un colle di circa 800 metri), pranzo al Castello, il tutto ravvivato da recitazione di poesie (di Renato Fucini, di Giovanni Rizzi, dello stesso Giosuè), discussioni letterarie (sul Manzoni, sulla lingua italiana), chiacchiere amene riguardanti «mille cose». Gli ospiti poi, dopo una tazza di «caffè arabo» offerta dall'avvocato Petrocchi, zio del nostro, trascorsero la notte in paese nella modesta casa petrocchiana, per ripartire, l'indomani mattina, in un legno condotto da Policarpo, alla volta dell'Abetone, dove incontrarono Renato Fucini.
I rapporti Petrocchi con Carducci continuarono cordiali ed abbastanza intensi per anni. Nel 1890, per esempio, alla nomina del poeta a senatore del Regno, Policarpo gli dedicò un'ode buon augurio. Non sappiamo molto altro, dal momento che nell'archivio dei Carducci si trovano, di Policarpo, poche lettere di modesto interesse e sparite risultano le lettere del poeta dall'archivio Petrocchi, al pari di altri carteggi, annate dei diari e altri manoscritti, andati distrutti o dispersi.
Siamo meglio informati ‑ ed è questo il secondo episodio, che si intende evidenziare, perché illumina alcune fondamentali caratteristiche dell'animo e del carattere petrocchiani ‑ sul tragicomico diverbio che, se non li divise per sempre, certo raffreddò alquanto, da lì in poi, i loro rapporti, come testimonia un certo risentimento ancora avvertibile nella versione "autentica" dei fatto, offerta dallo stesso Petrocchi ad alcuni anni di distanza. La scenata avvenne a Roma nel 1895, nella trattoria del sor Enrico in Santa Maria in Via, presso l'angolo di Via dei Crociferi, poco dopo la pubblicazione dell'ode scritta da Carducci per celebrare le nozze di Francesco Crispi; a tavola c'erano, oltre ai due protagonisti ed altri commensali, anche Cesare Pascarella e Mario Menghini: «Oggi è uscito il fascicolo della "Rivista d'Italia" nella quale una moltitudine dì autori parlano del Carducci: è accidentato, è vicino a finire, e gli spargono l'ara di fiori. Certo questo non è male, è bene. Il Menghini nel Carducci a Romacita quelli che andavano a banchetto con lui, e dice: “qualche volta Petrocchi, incorreggibile indagatore di frasi carducciane”. Una sciocchezza senza scopo e senza sale, mancante d'ogni e qualunque fondamento di verità. Ci andai a colazione parecchie volte, invitato sempre dal Menghini, e non con quel piacere che credeva lui, giacché la conversazione carducciana è quel che può mai essere di desolante: un monte di stranezze e di cose senza senso che dice abbandonandosi, fors'anche per bisogno d'ingoffarsi, come direbbe Machiavelli, alla corrente de' commensali, e buttando là giudizi avventati ed insolenti, a cui non si può rispondere come si vorrebbe. Una volta a tavola il Carducci diceva plagas di Cavallotti, di Milano e di Crispi. lo tacqui; ma il Della Porta interloquì, e per provare quanto Crispi fosse un gran galantuomo e il Cavallotti un birbante, si mise a citare un aneddoto sciocco. Io sdegnato l'interruppi: "Ma smettetela: codesto Crispi è il più gran mascalzone che abbia avuto il Regno d'Italia". Carducci s'alzò invelenito, prese il coltello, pareva che mi volesse fulminare; io lo guardai imperterrito, mi disse: "Esci!. "Eh, se non è per questo non mi par vero!” gli dissi. "Tu sai come la penso”. “Io so che sono un uomo libero". E andando via, m'accompagnò con questa frase sardonica: "Un toscanello che s'è fatto manzoniano a Milano". E io di rimando: "Se mi son fatto manzoniano...". "Che dici?". "Se mi son fatto manzoniano è perché non mi son mai fatto servo di nessuno. E me n'andai».
In seguito i due ebbero modo di rivedersi, grazie al generoso e riuscito tentativo di rappacificazione voluto da alcuni comuni amici: Policarpo stesso racconta che, dopo la sfuriata, «a Carducci sbollì l'ira, se ne pentì, fece gli elogi di me agli altri, disse d'esser un uomo che non sa più stare in.società. E non mi curavo più di lui quando Pascarella e Menghini, poiché il Carducci domandava sempre di me, vollero a ogni costo che si rifacesse la pace; si può dire che quando veniva a Roma dal '95 in poi, io mi son quasi sempre trovato con lui. Dunque il valore di qualche volta non è esatto; il rimanente poi è una sciocchezza senza senso, perché non ho mai scritto, né pensato a scrivere nessuna frase carducciana. Se mai erano loro invece che pescavano le mie toscane, e il Carducci le rilevava, e le difendeva. L'ultima, su cui si fermò a lungo, e che disse di voler inserire in qualche scritto "perché la buona lingua bisogna difenderla", fu la parola cimolo».
Altri confermano ed ampliano la suddetta versione: «[ ... ] il Carducci era incapace di risentimenti, e quando il Pascarella gli domandò prudentemente se gli sarebbe dispiaciuto rivedere il Petrocchi, s'affrettò a dire che non aveva nulla contro di lui. Il Petrocchi, avvisato dal Pascarella, prese parte pochi giorni dopo con il Carducci ed altri ad una gita a Frascati, e il Carducci lo accolse e lo trattò in modo da dimostrargli d'aver dimenticato l'incidente spiacevole. A colazione il Petrocchi, seduto accanto al Carducci, stava sfogliando un finocchio e aveva liberato dalle foglie esterne e più dure il bel grumoletto bianco, quando il Carducci si voltò ed esclamò: "O Petrocchil me lo dal a me codesto bel ..." e si fermò a cercare la parola che non gli veniva in mente. "Cimolo..." suggerì il Petrocchi, poiché tale parola si usa comunemente per grumolo a Fistoia e in altri luoghi. Ma giungendo essa nuova alle orecchie di quasi tutti i presenti, scoppiò una gran risata e per tutta la giornata quel "cimolo" fece le spese dell'allegria della comitiva. Un anno fa, quando il Carducci era già debole, ed il parlare cominciava ad essergli difficile, il Pascarella volle vederlo, e trovatolo malinconico gli rammentò le gite fatte insieme nei dintorni di Roma e fra le altre quella di Frascati insieme al Petrocchi ed altri. Il Maestro allora sorridendo accennò a voler dire qualcosa; ma poiché la parola fu meno pronta della volontà, fece un gesto con le piccole mani indicando la forma di qualche cosa. Il Pascarella indovinò subito, e disse: ‑Il cimoloi‑ Ed il Maestro rise. Non aveva dimenticato neppure quell'episodio».
Un ultimo incontro avvenne a Bologna il 2 gennaio del 1902: «A Bologna ( ... ) sono andato diritto dallo Zanichelli. M'à detto che il Carducci starà poco a venire al negozio, e m'à insegnato dove sta lo Gnaccarini, genero del Carducci. Son andato da lui con un biglietto dei Salveraglio; ma ci si conosceva di già. Gli ò chiesto notizie biografiche del Carducci; me Và promesse, à detto che se n'interesserà con amore ( ... ) Dopo son andato dal Carducci nel negozio dello Zanichelli, e Vò trovato dimagrito assai e con le linee della bocca assai cambiate. M'à accolto bene, m'à dato il suo ritratto e dei ritratti da portare a' Figlioli dei Chiarini, m'à detto d'aver letto il mio Numero dantesco e d'averlo trovato vero; m'à presentato al prof. Setti e al prof. Livi e al Della Lega. li Livi m'à presentato al direttore del liceo Mamiani; e tutt'e due sono entrati in discussioni di lingua, ancora vive a Bologna».
Ma neppure quest'ultimo incontro riuscì a rasserenare del tutto il clima dei rapporto fra Carducci e Petrocchi, se quest'ultimo, che pure aveva dato recentemente, nel suo Thesaurus, un ritratto penetrante e complessivamente positivo (ma non certo accomodante) del poeta "maremmano" ‑di cui ammirava sommamente le qualità letterarie, assai meno quelle filosofiche, cercando anche di spiegare razionalmente la sua "conversione' alla monarchia, giungeva ad annotare con evidente amarezza, nel maggio dello stesso 1902:  « è uscita la seconda edizione delle poesie carducciane; a me non l'à mandata, e non la manda certo. È inutile negarlo: il Carducci à sullo stomaco ancora la famosa scenata di Crispi e il manzonianismo paventato» .
Ma forse, in quest'occasione, Policarpo peccò in pessimismo: infatti, il 15 agosto 1905, il figlio maggiore del Petrocchi, Carlo, riceveva da Alberto Bacchi Della Lega, collaboratore, amico ed, infine, segretario affezionatissimo di Carducci negli ultimi anni della vita del poeta, il seguente biglietto: Fu un uomo buono e valente ed lo l'amai molto ‑così mi disse di scriverle il prof. Carducci che della sua mano inferma non può valersi a risponderle di persona».
E il poeta della terza Italia non era uso a mentire: «Alla cortesia nessuno è obbligato, quando per esser cortese bisogna esser bugiardo».”

                                                                        Carlo Onofrio Gori

Originale dell'articolo di Carlo O. Gori,  Pistoia "bella città ariosa", comparso sul n. 52 (apr.giu. 2007), di:


Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.
                                                           Carlo Onofrio Gori  cog@interfree.it


Commenti:
 

#1 03 Marzo 2009 - 07:45
E' a rischio la democrazia di tutti ? SI, a partire dalla dignità sul lavoro !
Il Governo guidato dal Re degli imbroglioni
è un governo di destra, è il governo dei padroni.

"Io penso invece all'art. 40 della Costituzione: il Diritto di sciopero.
Possibile che il Baffi, uno stupido piccolo privato possa beffare così una legge che un popolo s'è data? Che un popolo ha pagato così cara: sangue, fame, guerra civile, elezioni tanto sofferte da ogni parte. E poi non è una legge qualsiasi. È quella che il Cristo attendeva da noi da secoli, perché è l'unica che ridia al povero un volto quasi d'uomo. Non gli riconoscerà ancora il potere sopra le cose. Ma almeno sul suo lavoro: di darlo o non darlo quando gli pare".
Dalla lettera di don Lorenzo Milani a don Piero
(Esperienze pastorali, pp.443-471).

«Il governo stia molto attento perchè in questa materia che riguarda un diritto, una libertà costituzionalmente garantita, bisogna procedere con grande attenzione. E se l'intenzione è quella di ridurre una libertà fondamentale, partendo dal problema del rispetto dei diritti degli utenti, sappia che la Cgil si opporrà, ora e dopo».
Guglielmo Epifani, Segretario generale della Cgil

Giuliano
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#2 03 Marzo 2009 - 18:46
Professore, la preferisco come "storico-storico", anche se in questo caso si tratta di letterati, a polemista politico. Questo pezzo su Carducc è gli intellettuali pistoiesi mi è piaciuto molto.
Mara Poli
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#3 03 Marzo 2009 - 18:52
Professore, la preferisco come "storico-storico", anche se in questo caso si tratta di letterati, a polemista politico. Questo pezzo su Carducci e gli intellettuali pistoiesi mi è piaciuto molto.
Mara Poli
utente anonimo  (IP: 67c48a33ff59350)

#4 04 Marzo 2009 - 07:47
Ho letto stamani con attenzione e con l'interesse dell'appassionato di storia toscana questo suo nuovo bel post che, oltre a Carducci che già conoscevo, mi ha fatto conoscere meglio altri personaggi importanti della cultura pistoiese e toscana dell'800 che conoscevo poco come il Petrocchi e la Grace Bartolini. Mi complimento con lei prof. Gori! Ha, come vede, un nuovo attento lettore. Cordiali saluti.
M.G.
utente anonimo  (IP: 882e8720ef51992)

#5 04 Marzo 2009 - 17:53
Riflessioni sulla situazione fiorentina... e non solo.
Inoltro una bella e amara riflessione di Andrea Bagni (insegnante e impegnato nell'Associazione per una Sinistra Unita e Plurale di Firenze); penso che la sua riflessione sia importante anche per la città e la provincia di Pistoia come per molte altre realtà locali nell'Italia di oggi.

Un caro saluto.
Giuliano, pacifista e di sinistra
.............................................

Copio qui sotto la riflessione che ho scritto per il settimanale Carta, sulla situazione fiorentina e non solo. Un abbraccio a tutte e tutti,
andrea bagni

Nel Sole dell'avvenire, il militante anni 70 rimasto nella sinistra storica dice a un certo punto, nel PD può sommarsi il meglio della tradizione cattolica e di quella comunista, come nella Costituente. Gli amici scattano in piedi sorridendo e gli fanno gli auguri.
Ecco, a Firenze non sono bastati gli auguri.

Il PD fiorentino ha prodotto Matteo Renzi, la somma del peggio della tradizione democristiana e diessina. Succede.
Ogni figlio è figlio dei tempi. A Firenze i dieci anni di Domenici sono stati all'insegna della “modernizzazione” della città: più o meno costruire dappertutto, sempre con gli stessi costruttori, in una città dove vivere sempre di meno e comprare sempre di più.
Strade e piazze privatizzate da parcheggi o tavolini con ordinazione obbligatoria – tempo e spazio a pagamento. Il centro storico ridotto a gadget commerciale, vetrine dalla solitudine densamente popolata. Multisala ipercommerciali, città da attraversare ad alta velocità sopra e sotto, che è molto più erotico; cittadelle viola per le masse in crisi di identità. Scuole pure da spostare il più possibile dal centro, che non disturbino lo shopping. Densificazione, ogni luogo una risorsa economica.

Quando qualcuno dei suoi nemici fu inviato a spiare la città di Atene, tornò rassicurando tutti.
Non ci sono problemi disse. Niente mura, niente difese, un sacco di spazio vuoto dentro.
Erano le piazze, l'agorà: vuoti pronti a riempirsi di cittadini. La forza della democrazia.
Ma vai a spiegarlo a questi amministratori.
Senza un'idea politica della città, senza un progetto di vita collettiva come incontro di culture, generi e generazioni, le strade e le piazze si riempiono di paura, cioè di ronde e sentinelle, uomini veri contro altri uomini veri per gestire le proprie donne: più o meno la stessa cultura del possesso e della violenza.
L'amministrazione comunale finisce allora per assomigliare a quella di un condominio: mediazione fra interessi particolari, affermazione di quelli forti, perdita di qualunque dimensione etica. Nella gestione contrattata del territorio, la politica diventa una rete di contatti e clientele, cene d'affari, scambi di prestazioni e nomi, intrecci di ruoli.
È la democrazia del mercato, il principio di uguaglianza fra immobiliaristi e amministratori pubblici. Che c'entra l'etica. Per quella roba c'è la chiesa. Appunto: Matteo Renzi è perfetto.

Si può essere spregiudicati imprenditori di se stessi e della propria immagine, senza importare un po' di anima dalla grande distribuzione vaticana, leader mondiale di certezze e valori?
Renzi detesta “zingari”, femministe e omosessuali.
È un bravo ragazzo che va al family day.
È un tipo attivo ma tiene all'ordine, ai CPT e alla morale.
Nella modernizzazione più ci si muove in un deserto di valori collettivi e più si fa ricorso a surrogati trascendenti verso l'alto o verso il basso: Dio e Patria, suolo e sangue.
E l'etica che scompare dai comportamenti politici si trasferisce nel Sacro, nella Legge che dovrebbero decidere della vita e della morte, colonizzare le relazioni ravvicinate, la dimensione più intima delle persone. In nome della Verità. Gli antistatalisti da noi sono per lo stato etico.

A sinistra pure è un discreto disastro.
In meno di un anno Berlusconi sta riscrivendo dalle radici la costituzione materiale del paese: squallido razzismo, più galera e CIE per chi non ha avvocati o lodi alfani, asservimento del sindacato e limiti al diritto di sciopero, fine della scuola pubblica, precarizzazione universale, pieni poteri al capo del popolo e parlamento ridicolizzato.
Della separazione dei poteri non ne parliamo. Un vero leninista.
Eppure parte della sinistra pensa che quello che accade alle istituzioni e alla cultura diffusa non sia il vero problema: per qualcuno non va demonizzato Berlusconi(né Renzi), in fondo hanno vinto, dobbiamo farci i conti; per altri si deve ripartire dalla società ma parecchio semplificata e retrodatata: bisogni, reddito, occasione della crisi.
Mi spiegavano già all'epoca del referendum sulla scala mobile: non si può perdere, si tratta di soldi.
L'immaginario non conta di fronte al materiale. Si è visto.
Come se le crisi economiche spostassero a sinistra le masse e i bisogni sociali non diventassero soggettività politica solo nella loro rappresentazione simbolica.
Roba che ogni populismo sa dalla nascita e che il novecento dovrebbe avere insegnato.

Noi qui si discute ancora del gruppo a cui iscrivere i parlamentari europei, dei rapporti con l'UDC, della chiarezza di linea richiesta dalle masse - per giustificare sigle e bandierine.
Basterebbe ripartire dai contenuti essenziali.
Dalla città e dalle sue relazioni.
A Firenze si potrebbe provare.
C'è stata un'esperienza di opposizione radicata nel territorio, ricca delle competenze e delle passioni di una rete di comitati. C'è stato anche un tentativo di rifondazione della sinistra in senso unitario e plurale, non come somma di sigle e ceti politici: come riforma della politica.
Non ha vinto per niente, però il desiderio di sperimentare qualcosa di nuovo, capace di autorappresentarsi come tessuto esistenziale di contatti e antagonismo, all'altezza della crisi, a me sembra sia diffuso ancora. Addirittura vivo.
Non si tratta solo di sommare vertenze parziali incapaci di mediazioni, né del politicismo del limitare i danni ed emendare Domenici o Renzi.
Bisognerebbe approfondire e allargare.
Mettere in un'alleanza alternativa un segno di apertura e di ricerca, di elaborazione di contenuti e cultura, di pratiche democratiche nuove; rappresentanze che non “rappresentino” nei luoghi del potere ma lo diffondano, aprano spazi alle conoscenze diffuse, alla partecipazione, alla costruzione di relazioni altre dalla miseria del presente. Ai conflitti.
Questo desiderio, malgrado noi, non è morto.
Perfino la vittoria di Renzi mostra la crisi degli apparati tradizionali.
E il PD è sempre più un curioso partito che non esiste ma la cui assenza di identità rischia di cementare un sistema di potere sempre più invadente nella sua non-esistenza.
Un po' come il Dio di Ratzinger.
Qualcosa si può muovere anche da quegli ambienti democratici, forse.
In cerca di anima. Politica e laica. Cioè di liberazione.

andrea bagni
utente anonimo  (IP: 4f6204b5f7dcfd9)

#6 04 Marzo 2009 - 17:54
Inoltre ne aggiungo un'altra di Francesco Indovina.
Un caro saluto.
Giuliano, pacifista e di sinistra


Il tempo è questo
di Francesco Indovina
Ven, 27/02/2009

Non basta muoversi nell’astrazione, disegnando strategie e soprattutto tattiche elettorali che non fanno i conti con le persone e i lavori incorso, prospettando soluzioni che mi paiono inconsistenti.
Sono i compagni, gli amici, le donne, i ragazzi i soggetti che hanno mostrato entusiasmo, così è apparso, per la costruzione di un nuovo soggetto politico, che possono decidere attraverso meccanismi democratici, intelligenti e non lederistici.

L’entusiasmo è materiale deperibile.
Costruire una soggetto politico non identitario, ma in grado di cogliere la ricchezza di diverse culture, non per mediare tra le diversità ma per dare corpo a un progetto di società che risponda ad esigenze di libertà, di eguaglianza, di sviluppo e di dignità del lavoro e della persona.
Un soggetto politico che si radichi nel territorio, nei posti di lavoro, nelle scuole, se, infatti, fosse necessario pensare ad una struttura politica organizzativamente “nuova”, non bisognerebbe dimenticare che il nuovo convive con il vecchio.

L’entusiasmo politico è non solo merce rara ma anche deperibile.
Deve essere nella consapevolezza di tutti che l’impresa di costruzione de La Sinistra è irta di difficoltà e incerta nel suo realizzarsi, ma è di sicuro destinata al fallimento se dovesse dipendere da alchimie di gruppi dirigenti, se i personalismi prendessero il sopravvento(come mi pare stia avvenendo), se la decisione di ciascuno fosse presa sulla base di un egotismo senza confronto, senza lo sforzo di costruire un pensiero comune.

La Sinistra non deve essere il risultato della fusione di organizzazioni e di gruppi dirigenti, tutte le fusioni realizzate su questa base hanno, come dimostra la storia e la cronaca, un virus letale, che lavora alla disintegrazione.
Quello che serve per un risultato sicuro e di lungo periodo è una corale adesione di compagni, di amici, di persone ricche di entusiasmo, cariche di esperienze,forti delle loro singole appartenenza, ma, insieme, disposti programmaticamente a contribuire ad un nuovo pensiero politico adeguato alle necessità della nostra epoca, per affermare che un diverso mondo sia possibile.

Altre volte ho parlato di come questa impresa abbia bisogno di “cura”, di una volontà determinata che guardi alla necessità di confrontarsi in piena libertà ma con spirito costruttivo.
Nessuno pensi che La Sinistra possa pienamente realizzarsi alla sua prima presenza elettorale, anche perché prima si è “vista” poco, non si tratta di un progetto per giugno; dobbiamo filare molta lana per intrecciare il nostro filo rosso.

Ma mi pare che questa consapevolezza non pare vivere nelle decisioni dei singoli e dei gruppi.
Il “tavolo costituente” della La Sinistra è stato individuato come il luogo politico delle discussioni e delle decisioni comuni da sottoporre al “nostro” popolo(molto da conquistare proprio a partire dalla collegialità), ma mi pare che sia sempre meno così.
I singoli prendono decisioni non discusse, stati maggiori disegnano tattiche autonome e non discusse. Certo il “tavolo” non può essere una gabbia, ma neanche un “divertimento”, luogo della discussione significa tentativo costante e continuo di costruire un pensiero comune, si può dissentire ma questo non dovrebbe portare alla lacerazione, certo sempre possibile.

Quello che pongo non è una questione di etichetta politica, di buona convivenza, ma di un principio fondativo. Sfuggire a questo principio significa frustrare il lavoro che si sta facendo nel territorio, ma significa fiaccare l’entusiasmo per un progetto che finisce per apparire inconsistente(e sottoposto agli umori di stati maggiori che non si confrontano).

Consapevolezza ed entusiasmo sono i due ingredienti fondamentali per la costruzione del nuovo soggetto, mancando la prima le delusioni saranno cocenti, mancando il secondo l’impresa risulterà impossibile. Il “tavolo” ha il compito di alimentare l’una e l’altro, ma per fare questo il tavolo deve funzionare, il che significa una sorta di "trasferimento" di potere.

Non sembra così, il che non rende facile e forse inutile il lavoro.
Bisogna aver chiaro che il tempo è questo, non ne avremo altro.
In politica i tempi sono una variabile importantissima.

Se pensassimo veramente che ci sia bisogno di una forza politica che lavori alla modifica del senso comune a partire da quanto sedimentato dalle lotte sindacali e sociali dei decenni passati e dai valori delle resistenza, per affermare libertà ed eguaglianza, allora, fuori da tatticismi, fuori da personalismi, estranei ad alchimie programmatiche, lavoriamo seriamente e diamo fiducia a tanti compagni e amici che nei territori si sono fidati di questa speranza.
utente anonimo  (IP: 4f6204b5f7dcfd9)

#7 04 Marzo 2009 - 18:16
Buongiorno, sto facendo una tesi dal titolo "L'Unità e il Vaticano II". Non sono riuscito a trovare da nessuna parte (né istituti storici, né ricerche bibliografiche, né internet) notizie biografiche su:
Arminio Savioli (ex partigiano GAP)
M. Notarianni
F. Magagnini
Giorgio Grillo
Elisabetta Bonucci
Potreste aiutarmi? Magari voi sapete meglio di me queste informazioni.
Vi ringrazio.
Giorgio Casali, Fiorano Modenese, Università di Bologna
utente anonimo  (IP: 4f6204b5f7dcfd9)

#8 05 Marzo 2009 - 08:40
Ringrazio di cuore tutti quelli che hanno lasciato il loro commento finora, tutti molto gentili, e invito il giovane ultimo corrispondente, oltre a digitare su Google e altri motori di ricerca i nomi segnalati fra virgolette, a consultare il sito: www.anpi.it/patria dove troverà sicuramente (io l'ho visto e ci sono) notizie su Savioli e gli altri.
Cordiali salluti.
COG
La mia homepage: http://historiablogori.splinder.com Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Blocca questo utentegorca49

#9 05 Marzo 2009 - 10:32
Continuo a seguirLa sempre con attenzione e interesse... Lei a me va bene sia come storico che come polemista politico.
Con stima
Maria Betti
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#10 05 Marzo 2009 - 16:02
Cari tutte e tutti,
Vi informo che ieri mattina a Bruxelles è stato lanciato il Tribunale Russell per la Palestina.
Nel corso di un'affollata conferenza stampa al palazzo della stampa internazionale, alla quale anch'io ho partecipato, i promotori hanno spiegato la storia, la struttura e gli obiettivi del tribunale. Non sarà semplice perchè occorrerrà costruire una rete molto solida ed anche raccogliere i fondi che saranno necessari per una impresa come questa. Ma sicuramente averlo lanciato - sopratutto dopo gli avvenimenti di Gaza -apre la strada affinchè le violazioni della legalità Internazionale e dei diritti umani delle autorità Israeliane non restino sempre impunite.
Introdotto dall'ambasciatore francese Stéphane Hessel, Ken Coates (Presidente della Bertrand Russell Peace Foundation) ha ricordato la storia del Tribunale popolare sul Vietnam e ha citato l'incoraggiamento ricevuto da Richard Falk, rappresentante dell'Onu per la Palestina, ad andare avanti con l'idea del Tribunale.
Nurit Peled, già vincitrice del Premio Sakharov assegnato dal Parlamento Europeo, ha espresso il dolore di una cittadina israeliana che vede come la sua cosiddetta democrazia sia ormai diventata sinonimo di guerra e occupazione. Leila Shahid, ambasciatrice palestinese a Bruxelles, ha ricordato i diritti violati e l'impunità delle autorità israeliane concludendo che il Tribunale è una risposta a tutti quelli come noi che consideriamo che "la pace sia un tema troppo importante per lasciarlo agli stati". Tra i sostenitori dell'iniziativa, era presente il regista Ken Loach, che ha esortato il Tribunale a investigare non solo le violazioni del diritto internazionale ma anche la catena di comando che le ha ordinate.
Infine Pierre Galand, ex senatore belga, ha fornito i dettagli sul Tribunale: una giuria composta da personalità di provate competenze e statura morale si riunirà in 2 o 3 sessioni in diverse città a inizio 2010, ascolterà testimoni e analizzerà prove relative al conflitto israelo-palestinese, e infine emetterà le proprie sentenze. Si tratterà ovviamente di sentenze morali, che avranno come obiettivo quello di mettere la comunità internazionale di fronte alle proprie responsabilità; l'obiettivo infatti non è solo quello di investigare i crimini di Israele, ma anche e soprattutto di verificare la complicità esplicita o implicita degli altri stati, compresi ovviamente quelli europei.
Sono previsti comitati nazionali di sostegno al tribunale in vari paesi del mondo , alcuni si sono già formati e l'obiettivo è di crearne di nuovi e costituire un'ampia rete di appoggio. Anche in Italia dovrà nascere il comitato, mi sono impegnata per la sua costituzione e mi auguro che la Fondazione Internazionale Lelio Basso e i giuristi democratici possano impegnarsi.
Vi faro' sapere ulteriori sviluppi anche per un incontro per poi lanciare il Tribunale Russell in Italia. Intanto organizzazioni o singoli che sono interessati ad impegnarsi per il comitato nazionale di sostegno possono comunicarlo alla mia mail.
Un abbraccio
Luisa Morgantini
E-mail: luisa.morgantini@europarl.europa.eu
Ufficio PE in Italia - 06 69950217
www.luisamorgantini.net
utente anonimo  (IP: ba34555c8bb477d)

#11 05 Marzo 2009 - 17:03
Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea
nelle province di Biella e Vercelli "Cino Moscatelli"
Aderente all'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione
in Italia "Ferruccio Parri"
13019 Varallo - via D'Adda, 6 - tel. 0163-52005 - fax 0163-562289
direzione@storia900bivc.it
www.storia900bivc.it

Segnaliamo l'uscita di un nuovo volume di Filippo Colombara:
Vesti la giubba di battaglia
Miti, riti e simboli della guerra partigiana
pp. 252, DeriveApprodi, ? 17

Filippo Colombara
Vesti la giubba di battaglia
Miti, riti e simboli della guerra partigiana
pp. 252, DeriveApprodi, € 17
uscita: 15 aprile 2009

Durante la guerra di Liberazione, come in altre circostanze simili, lo scontro tra i contendenti avviene sul piano dell’offesa armata, della distruzione di corpi e cose, ma anche su quello dei segni e dei significati culturali: un conflitto parallelo tra contrapposte visioni del mondo che uomini e donne impiegano per mostrare le proprie ragioni, per distinguersi, per esistere.
Dall’universo simbolico che scaturisce, dalla forte carica emotiva spesa da quanti rimasero coinvolti nasce il senso di questo libro. Riti, consuetudini, apparati simbolici e miti sono gli argomenti che si indagano dell’avventura partigiana; un’avventura inizialmente priva di precise norme e, per questo motivo, capace di dare sfogo a una sorta di «creatività a caldo» che, nell’immediatezza degli eventi, costruisce e controlla l’immaginario.
Questa ricerca, tramite un ampia e diversificata documentazione (carte d’archivio, fonti orali, scritti di memoria, immagini) offre una particolare lettura della Resistenza attraverso gli atteggiamenti culturali dei combattenti e della popolazione di un’importante area dell’Italia Nord Occidentale (Verbano Cusio Ossola, Novara, Biella e Vercelli).

Il lavoro prende avvio dalle reazioni popolari dopo la caduta di Mussolini del luglio ’43; fatto che si tramuta in un rovesciamento di potere espresso con numerose allegorie, al punto da trasformarsi in un vero e proprio carnevale di cui il duce può solo esserne il re. Si passa poi a indagare le esperienze della guerriglia: dalla ricerca di un’identità che rappresenti i combattenti come nuovi soldati e nuovi italiani all’uso degli apparati simbolici in tutte le fasi degli scontri armati, alla creazione di personaggi mitici della Resistenza, come Cino Moscatelli e Filippo Maria Beltrami, e al tramandarsi nel tempo della loro «leggenda». La ricerca si conclude con il ritorno a Mussolini, alle diverse memorie proposte dalla gente comune, tra critiche, aspettative mancate e condizionamenti della propaganda ancora attivi.

Filippo Colombara (1952) si occupa di storia e cultura dei ceti popolari. Fa parte del collettivo di lavoro dell’Istituto Ernesto de Martino; è membro del comitato scientifico dell’Istituto storico della Resistenza di Novara e del Verbano Cusio Ossola. Tra le sue pubblicazioni: La terra delle tre lune. Classi popolari nella prima metà nel Novecento in un paese dell’alto Piemonte, Milano 1989; Uomini di ferriera. Esperienze operaie alla Cobianchi di Omegna, Verbania 1999; Pietre bianche. Vita e lavoro nelle cave di granito del lago d’Orta, Verbania 2004. 
utente anonimo  (IP: ba34555c8bb477d)

#12 05 Marzo 2009 - 19:30
Anche questa volta sono d'accordo con il commento di Maria Betti. Colgo l'occasione per salutare tutti. Un saluto carissimo a Maria Betti che sento come una persona positiva, ricca di valori e contenuti. GRAZIE!
Filly Pavese
utente anonimo  (IP: aae91ffa581af6f)

#13 06 Marzo 2009 - 09:13
Mi è piaciuto il post su Carducci-Grace B.-Petrocchi, molto! Ma ora, "vecchio" con tutti questi peana di donne, un' ti montare la testa!
Ciao ALEX
utente anonimo  (IP: 6a60e932850ebd7)

#14 09 Marzo 2009 - 08:49
Voglio in questo secondo commento solo ringraziare la sig.ra Filly Pavese per la stima che nei suoi interventi mi dimostra, da parte ugualmente ricambiata.
Cordiali saluti.
Maria Betti
utente anonimo  (IP: 07d09b57b2ca86d)

#15 09 Marzo 2009 - 22:24
R I C O N O S C I A M O C I
I N C O N T R I T R A C U L T U R E
Martedì 10 marzo, ore 16,30
nella Biblioteca San Giorgio a Pistoia
Incontro con GIULIANA SGRENA
Autrice di Il prezzo del velo
Giuliano
utente anonimo  (IP: ba34555c8bb477d)

#16 11 Marzo 2009 - 16:03
Bello, molto bello, l'ho letto con molto interesse. Ci vediamo.
Mauro
utente anonimo  (IP: 3589f931ef53935)

#17 13 Marzo 2009 - 16:46
Associazione per La Sinistra e Verdi della provincia di Pistoia

COMUNICATO STAMPA
(con preghiera di pubblicazione)

Ad oltre un mese dalle elezioni primarie ed alle conseguenti dimissioni del gruppo dirigente del Pd che aveva condotto con convinzione il confronto con le altre forze della coalizione di centro sinistra per la definizione di un programma comune, crediamo non sia più rimandabile una scelta chiara rispetto alle imminenti elezioni per la Provincia di Pistoia.
Federica Fratoni ed i suoi massimi sostenitori(che rappresentano il Pd ai vertici delle Istituzioni), hanno vinto le primarie con una campagna impostata sulla continuità nel governo della Provincia, criticando aspramente il cambiamento etico e programmatico concordato e persino la composizione della nuova alleanza di centro sinistra; oggi Federica Fratoni utilizza parole troppo generiche per cambiare quanto è stato pubblicamente sostenuto da lei e dai suoi sostenitori nel corso della campagna delle primarie, oltre al fatto (tutt'altro che irrilevante) che non esiste più quel gruppo dirigente del Pd che, al tavolo della coalizione, aveva dato fiducia alle nostre speranze di cambiamento; dopo le primarie è risultato evidente che non è stata colta la richiesta di rinnovamento che si è manifestata nel voto a Cecilia Turco e a Daniela Gai e le generiche “rassicurazioni” sul rispetto del "Documento Programmatico" sono state tanto formali quanto poco credibili.
Per queste ragioni riteniamo che non ci siano più le condizioni che avevano portato ad una "nuova alleanza di centro sinistra" e, nel pieno rispetto delle persone e delle forze con cui abbiamo condiviso questo difficile percorso, recuperiamo la nostra autonoma collocazione politica e ci impegneremo a costruire una nuova proposta da presentare al giudizio degli elettori.
Le ragioni di questa scelta stanno in un'assunzione di responsabilità verso i cittadini che si sono mobilitati e verso le altre forze politiche di centro sinistra(a partire dal Pd), e privilegiano la chiarezza delle scelte programmatiche e la coerenza dei metodi e degli indirizzi della futura Amministrazione provinciale.
Obiettivo non rinunciabile e non contrattabile è la costruzione di un modello di governo che, senza ambiguità o ritardi, presenti forti e riconoscibili elementi di innovazione nei comportamenti e nei contenuti della politica e che si proponga come credibile progetto contro l'astensionismo e per una convinta alternativa culturale e sociale alla deriva di destra(che rischia di dilagare mettendo a rischio valori e caratteri fondanti delle nostre comunità a livello locale e nazionale).
Con questa scelta, non facile, intendiamo favorire un confronto aperto, chiaro e trasparente con tutte le forze di centro sinistra e parlare a tutti i cittadini nella lingua di chi chiede risposte positive ai problemi quotidiani e alle aspettative di qualità della vita individuale e collettiva e si aspetta queste risposte da una politica rinnovata, più sobria, più concretamente vicina alle persone, ma anche nuovamente portatrice di orizzonti ideali ed etici.

Associazione per La Sinistra della provincia di Pistoia.
Verdi Federazione della provincia di Pistoia
utente anonimo  (IP: d8966e80bba388a)

#18 14 Marzo 2009 - 17:52
Sabato 14 marzo 2009 - ore 19
Circolo 1° Maggio
Via di Porta San Marco, 38 - Pistoia
C’era una volta un paese… e quel paese adesso non c’è più.
Crisi sociale, economica e istituzionale. Nazionalismi, comunità escludenti e identità.

Il caso della ex-Jugoslavia
fino alle pulizie etniche degli anni ’90.
Incontro
a cura di Stefano Bartolini
dell’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea
al termine seguirà buffet
Comitato Antifascista San Lorenzo
utente anonimo  (IP: 94d7c341cd57494)

#19 19 Aprile 2009 - 14:40
Cerco foto degli tre ponte del Mincio dove gli piedmontese avava inziato la guerra.
La mia homepage: http://franksaul.splinder.com Contattami Guarda il mediablog (foto, audio e video) di questo utente. Blocca questo utenteBlanchflower

#20 17 Luglio 2009 - 09:26
Bello e molto interessante.
Qualcuno puo aiutarmi a trovare informazioni inerenti la figura del Padre Angelico Marini?
Grazie
Andrea 
utente anonimo  (IP: cf44fa09a7839fb)
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