Storia. Vita e morte di un “traditore”. Fortunato Picchi: ricordo di un antifascista pratese per lungo tempo dimenticato.
Vita e morte di un “traditore”. Fortunato Picchi: ricordo di un antifascista pratese per lungo tempo dimenticato
Nel 1999 il Comune di Carmignano affidò ad Alessandro Affortunati una ricerca sul sovversivismo e l’antifascismo nel Montalbano, zona collinare fra Prato e Pistoia, e lo storico, fra vari nomi e fatti, localmente più o meno noti, si imbatté, e scrisse, della straordinaria quanto semisconosciuta vicenda di Fortunato Picchi, un antifascista che nel 1941 si fece paracadutare nella prima missione britannica di commandos sabotatori in Italia, ma che fu quasi subito catturato e fucilato come “traditore”.
Ne scaturì il libro Mille volte no. Sovversivismo ed antifascismo nel Carmignanese. Con un profilo di Fortunato Picchi, prefazione di Ivan Tognarini, Mir, 1999 (1).
L’Amministrazione, interessata ad approfondire la figura umana ed il gesto di questo suo concittadino per nascita, promosse allora nuovi studi dai quali è poi scaturito un altro volume di Alessandro Affortunati: Di morire non m’importa gran cosa. Fortunato Picchi e l’operazione Colossus, Colossus, prefazione di Mario Baudino, Pentalinea, 2004. (2)
Prima di questo libro, c’era stato tuttavia chi non aveva dimenticato il gesto di Picchi: “Un fantasma – scrive nella prefazione Mario Baudino -visitava ogni tanto Franco Lucentini, a partire da quand’era studente universitario e finì in galera per antifascismo”. Infatti il noto scrittore torinese che anteponeva la scelta individuale, morale, ad ogni altra considerazione, scrisse in polemica con Galli Della Loggia e la sua idea di “morte della patria”: “Chiudo con un pensiero alla memoria di … Picchi…I giornali italiani ne dettero l’annuncio in quattro righe e nessuno di poi ne parlò più. Il suo nome non compare in nessuna delle storie della Resistenza. Sarebbe forse ora di ricordarsene e di portare qualche fiore sulla sua tomba se mai si sapesse dov’è”. (3)
La morte ha purtroppo raggiunto Lucentini prima che potesse dar corso all’ idea, di cui aveva parlato con l’amico Carlo Fruttero e col fratello Mauro, di scrivere un libro su Picchi e soprattutto prima che potesse aver notizia delle ricerche di Affortunati.
Fortunato Picchi nasce, a Comeana di Carmignano, oggi in provincia di Prato, il 28 agosto 1896, da Ferdinando e Iacopina Pazzi. Poi quattordicenne segue la famiglia, povera e numerosa (i fratelli Averardo, Cleto, Giorgio, Sergio e le sorelle Leonia ed Olga), che si trasferisce in Val di Bisenzio alla Tignamica di Vaiano, allora territorio del Comune di Prato, dove il padre è cuoco presso la ditta tessile “Forti” di La Briglia,uno dei più grossi stabilimenti dell'industria tessile pratese.con fedeltà ed onore”, si legge nel congedo, fino al dicembre del 1919. Durante la grande guerra viene arruolato nel novembre del 1915 e combatte sul fronte macedone “
Difficoltà familiari e spirito di indipendenza inducono Picchi, nel 1921, ad emigrare in Inghilterra dove inizialmente lavora come cameriere. Nel '25, dopo un breve ritorno in Italia, entra al Savoy di Londra dove riesce a costruirsi una brillante carriera divenendo vice-direttore del reparto banchetti. Nel lussuoso hotel frequentato dal “bel mondo”, Picchi lavorerà, guadagnando molto bene, fino all’entrata in guerra dell’Italia fascista quando con altri connazionali verrà precauzionalmente deportato all’isola di Man dove, come vedremo, farà la scelta di operare attivamente contro il regime mussoliniano. Questo decisivo impegno di Picchi non scaturirà tuttavia da opportunistiche necessità o avventurosi entusiasmi, ma sarà il frutto di una sua lenta e costante maturazione politica avvenuta nella Londra degli anni Trenta. La democrazia britannica è in quel tempo sottoposta a forti spinte verso destra: si pensi alle simpatie degli ambienti conservatori verso il fascismo italiano, tantochè sir Oswald Mosley nel 1932 può fondare la British Union of Fascists; si consideri, tra l’altro, che re Edoardo VII non nasconderà la sua ammirazione verso il nazismo e che il governo conservatore svolgerà poi un ruolo non indifferente nel favorire la vittoria franchista nella guerra civile spagnola. (4)
Fortunato, non manifesta una precisa collocazione politica, se non quella generica di cattolico (tra l'altro non praticante, e su questo avverrà nel 1932 la rottura con suo padre, cattolicissimo), ma ammira tuttavia la figura dell’anticlericale Garibaldi, visto come campione dell’emancipazione dei popoli e uomo politico che storicamente aveva manifestato, pienamente ricambiato, stima ed affetto per l’Inghilterra. Coltiva le sue amicizie più profonde negli ambienti democratici ed antifascisti e rifiuta di mischiarsi ai connazionali che frequentano le sezioni del PNF che in quel periodo, per l’atteggiamento benevolo delle autorità, sorgono numerose sul territorio inglese: questo suo comportamento non mancherà di essere debitamente registrato dai consolati italiani.
Fortunato che, celibe, vive ai Sussex Gardens, pensionante di una famiglia di lontane origine italiane, i Lantieri, è infatti l’antitesi del “buon italiano” (leggi: “fascista”) all’estero: una informativa del SOE lo definirà poi “An idealist … who is in many ways more English than the English” (5). Infatti da buon londinese tifa Arsenal e spesso porta Billy, il suo cane alsaziano, a correre in Hyde Park. Pur essendo, oltre a questo dato esteriore, un sincero e convinto ammiratore dei fondamenti della democrazia inglese, tuttavia non vorrà mai rinunciare alla nazionalità italiana, per cui allo scoppio della guerra verrà internato, come abbiamo detto, nel campo dell'isola di Man dove rimarrà fino al dicembre 1940.
In questo periodo aderisce al Free Italy Movement, un’associazione di antifascisti italiani di varia tendenza politica costituita nell’ottobre del 1940 dal cattolico Carlo Petrone e che annovera fra gli altri suoi dirigenti Paolo e Pietro Treves, figli di Claudio Treves, uno dei fondatori del socialismo italiano, e Umberto Calosso, una delle più note “voci” di Radio Londra. (6)
Come riferirà Florence Lantieri, dopo sei mesi gli viene offerta la possibilità di lasciare l'isola e tornare al suo ben remunerato lavoro, ma a Picchi la sola attività di propaganda antifascista non può bastare ed è proprio, “paradossalmente”, per “difficile” e grande amor di patria, che fa la scelta coraggiosa ed estrema, di decidere di combattere, se necessario, contro i propri compatrioti anche a costo di esser definito, come poi lo fu, con l’epiteto infamante di “traditore”. Ottiene infatti di arruolarsi nelle forze armate britanniche dove inizialmente è inquadrato come sapper, pioniere del genio, poi, nonostante la sua età non giovanissima, entra su sua richiesta nello Special Operations Executive(SOE), uno dei reparti dei servizi segreti creato nel luglio del 1940 per alimentare la resistenza nei paesi occupati dai nazifascisti. A ben quarantesei anni si sottopone ad un durissimo addestramento imparando l'uso delle armi e il lancio con il paracadute. Accetta poi, malgrado se ne potesse esimere, ma volendo esser utile anche come interprete, di entrare in un commando destinato ad un'azione estremamente rischiosa sul territorio italiano: il danneggiamento dell'acquedotto pugliese. Nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1941, dopo una rapida azione di disturbo da parte dell'aviazione, il commando delle X-Troops, partito da Malta e composto da 34 uomini, fra i quali Picchi viene paracadutato tra Calitri, Rapone e Pescopagano.
I guastatori via via si raccolgono nel punto prestabilito lungo il fiume Ofanto, poi si muovono abilmente verso il loro obiettivo, infatti, presentandosi come paracadutisti tedeschi in addestramento, ottengono persino la collaborazione della popolazione. Arrivati al torrente Tragino minano il viadotto, tuttavia il ponte-canale viene danneggiato dall’esplosione, ma non distrutto, e il sabotaggio ha l’effetto di provocare danni non devastanti che provocano solo mancanza d'acqua per alcune ore nei comuni tra Foggia e Bari.
Dopo l’azione i parà cercano di raggiungere a piccoli gruppi il punto della costa dove li aspetta un sommergibile, ma ormai carabinieri e milizia, con l’aiuto della popolazione, danno il via ad un vasto rastrellamento che impedirà ai britannici di esser recuperati nei tempi stabiliti. Costretto come gli altri ad arrendersi, Picchi, che in quei frangenti si prodiga affinché non venga sparso sangue fra i civili, viene arrestato ed interrogato: si qualifica come Pierre Dupont, francese “libero”, poi deve ammettere la sua vera identità e la fa specificando di esser lì non per tradire l’Italia, ma per combattere il regime fascista. Tutti i britannici, in divisa, vengono considerati prigionieri di guerra ed inviati nei campi di concentramento, mentre Picchi, in quanto cittadino italiano, è subito deferito per tradimento al famigerato Tsds. Secondo le logiche militari la sentenza non poteva purtroppo che essere di morte per fucilazione alla schiena, eseguita, dopo breve lasso di tempo (alle ore 7 del 6 aprile 1941), da un plotone di agenti di PS a Roma nel Forte Bravetta.
Mentre Oltremanica i democratici inglesi esaltarono la nobiltà del suo gesto parlando di “Life sacrificed for Freedom” e definendolo “Martyr of the New Risorgimento”, in Italia i suoi familiari dovettero fatalmente sopportare le più pesanti angherie del regime fascista, e questa fu l’unica cosa di cui Fortunato si pentì. Scrisse infatti nell’ultima lettera alla madre: “mi dispiace …per voi e per tutti di casa di questa sciagura e del dolore che vi arrecherà…. Di morire non m’importa gran cosa, quel che mi dispiace è che io, che ho voluto sempre il bene del mio Paese, debba oggi esser considerato come un traditore”. (7)
Affortunati rileva che, sia immediatamente dopo il 25 luglio 1943, sia soprattutto dopo la Liberazione, gli antifascisti vaianesi resero onore a Fortunato, mentre sulla stampa pratese il “Corriere del Mattino” del 15 maggio 1945 lo indicò come “il primo patriota [pratese] ed uno dei primi d'Italia” e la “La Nazione del Popolo” del 21 febbraio 1946 lo definì “Eroe”. Tuttavia i familiari di Picchi rimasti nella zona di Vaiano si opposero tenacemente a qualsiasi utilizzo politico della sua figura, e forse anche per questo il suo coraggioso gesto iniziò ed essere dimenticato.
Il 16/17 aprile 1949, in “una temperie politica ben diversa da quella del 1945-46” Paolo Caccia Dominioni sul “Corriere d'informazione” si occupò di Picchi con l’articolo: “Era un traditore oppure un eroe?” Concluse che era sia un po' l'uno che l'altro, ma questa sua valutazione trovò la strenua opposizione di un democratico inglese, Ivor Thomas, che in una lettera al direttore scrisse: “Fortunato Picchi fu tra gli uomini più valorosi dell'età nostra. Amò la sua terra...e sacrificò la sua vita per contribuire a liberarla dalla tirannia fascista...Se Picchi fu un traditore, allora Mussolini fu un patriota; e io temo che l'articolo di Paolo Caccia Dominioni rafforzerà la posizione di quanti asseriscono che il fascismo riuscì sempre accetto al popolo italiano ed è ora in via di riprendersi”.(8) Da allora - nota Affortunati - “di Picchi non si è più parlato se non incidentalmente”. (9)
Riflettendo su questo pluridecennale oblio dobbiamo osservare che questa vicenda fu “scomoda”, soprattutto per il fondersi di due ragioni. La prima va forse ricercata nel fatto che il “traditore” Picchi fu “partigiano” prima dell’8 settembre 1943, cioè prima che esistessero i partigiani, anzi molti di quelli che, proprio in seguito alla dura ed istruttiva esperienza di una guerra sciagurata, combatterono poi come partigiani il nazifascismo, nel 1941 stavano dall’ “altra parte”. Ma anche questa pregiudiziale poteva esser superata pensando, ad esempio, ai comunisti Ilio Barontini e Anton Ukmar che in Etiopia si opposero insieme agli abissini all'occupazione colonialista e fascista italiana, oppure ai numerosi fuoriusciti “garibaldini” di Spagna che a Guadalajara sconfissero i soldati del CTV inviato da Mussolini in sostegno al golpista Franco. Tuttavia si tratta di esempi generalmente riconducibili figure di militanti antifascisti ben politicamente connotati, ma questa, ovviamente, non è una colpa. Ed ecco che arriviamo alla seconda, e forse la vera ragione del lungo oblio al quale venne condannato il pratese: pur essendo stato Picchi un fervente antifascista, non risultò tuttavia legato ad alcun partito politico, né la sua memoria, su questo piano, anche per strenua opposizione della famiglia, poté quindi esser rivendicata da qualcuno in particolare. Ma nemmeno questa è una colpa!
Fortunato Picchi, “il traditore”, volendo la libertà ed il benessere dei propri compatrioti, pur non maturando una scelta politica o ideologica ben definita, amava sinceramente la democrazia e conseguentemente amò la propria patria fino a compiere scelte “scomode” ed “estreme”. Non dimentichiamoci infatti che nella stessa Inghilterra, dove si scrissero libriTo the glorious memory of Fortunato Picchi, persino un suo commilitone del SOE, evidentemente impregnato di spirito militarista e patriottardo, fedele al motto “right or wrong my country is my country”, affermerà che sebbene Picchi fosse un idealista “...he was also, after all, a traitor to his country and it seem rather difficult to make him out of hero” (fu dopotutto un traditore del suo paese e risulta difficile considerarlo un eroe). (10)
Comprendiamo coloro che, in grigioverde, fino all’8 settembre, pur maturando la consapevolezza delle colpe del fascismo, per una propria concezione del senso del dovere, si sacrificarono obbedendo agli ordini, ma proprio per questo pensiamo sia altrettanto doveroso ricordare ed onorare chi, come Picchi , in piena coscienza compì scelte diverse.
Per questo, in un periodo in cui varie amministrazioni locali sembrano rincorrere quelli che ritengono essere i gusti correnti, indulgendo forse troppo nel sostegno ad una pletora di costose e variegate, quanto caduche, iniziative culturali, va dato atto al Comune di Carmignano di aver promosso le serie e rigorose pubblicazioni di Affortunati volte a ricostruire la storia dell’impegno civile e democratico di Fortunato Picchi (11).
Carlo O. Gori
Sintesi e rielaborazione degli articoli:
Carlo O. Gori, Fortunato Picchi: la memoria di un eroe antifascista per lungo tempo dimenticato, in “QF. Quaderni di Farestoria”, periodico dell'Istituto storico provinciale della Resistenza di Pistoia, n. 3-4 (lug.dic. 2004).
Carlo O. Gori, Vita e morte di un “traditore”. Ricordo di Fortunato Picchi, antifascista pratese per lungo tempo dimenticato, in Patria indipendente”, n. 3 (mar. 2007).
Per le note consultare gli articoli sulle suddette riviste.
Carlo Onofrio Gori: articoli sulla Resistenza toscana leggibili e scaricabili dal web:
Questi articoli sono riproducibili parzialmente o totalmente solo con previo consenso o citazione esplicita dell'Autore. I trasgressori saranno apertamente indicati da questo blog.
postato da: gorca49 alle ore 11:01 | link | commenti (30)
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