Storia. ...avventure di viaggio!
La “marcia su Roma” dei fascisti pistoiesi
Il fascismo pistoiese pur non riuscendo ad esprimere nel tempo, per varie ragioni, un "uomo forte" (1) ebbe probabilmente, più di quanto si sia pensato finora, un ruolo rilevante durante gli avvenimenti della "marcia su Roma" acquisendo meriti che in seguito pesarono forse nella decisione di Mussolini di elevare il Circondario pistoiese a Provincia. Sarebbe utile in tal senso un approfondimento in sede storica, risulta comunque evidente che Pistoia, terminale toscano della ferrovia Porrettana (la "Direttissima" Firenze-Bologna verrà costruita solo più tardi negli anni Trenta), aveva nel 1922 una posizione strategica nelle comunicazioni tra il Nord e il Centro Italia e che il controllo della stazione ferroviaria da parte degli squadristi pistoiesi nelle giornate tra il 26 ed il 29 ottobre 1922, permise di coprire le spalle alle colonne fasciste che marciavano su Roma, mettendole al sicuro da possibili sgradite sorprese soprattutto nei primi incerti momenti della proclamazione stato d'assedio.
Il fascismo pistoiese giunse all’appuntamento della "marcia su Roma" dopo un percorso iniziato ufficialmente solo il 22 gennaio 1921 sotto la guida di Nereo Nesi. Tuttavia già durante le agitazioni operaie e contadine del "biennio rosso" 1919-1920, un liberale, Dino Philipson, giovane e ricco proprietario terriero, aveva avuto parte decisiva nella genesi del fascismo locale (2).
Philipson, pur finanziando il movimento e rivendicando poi esperienze squadristiche, non fu tuttavia un fascista in senso vero e proprio (successivamente passerà addirittura all’antifascismo). Il suo vero scopo era quello di servirsi delle squadre fasciste per stroncare il movimento operaio e contadino per poi, in un secondo tempo, ricondurre il fascismo nell’alveo della legalità.
A tal fine nel marzo-aprile 1922 ispirò la nascita dell’Unione Democratica Pistoiese privando così il fascio pistoiese dell’apporto diretto di quegli esponenti del notabilato agrario e conservatore che in varie altre parti d’Italia avevano finito per snaturare in senso reazionario le confuse tendenze sinistreggianti (sindacalismo, futurismo, repubblicanesimo) espresse dal movimento fascista nazionale al suo sorgere nel 1919.
La svolta di Philipson aprì quindi la strada in sede locale all'affermazione della componente della media e piccola borghesia urbana che ebbe l'esponente di punta nella figura di Enrico Spinelli, studente universitario di farmacia, ex-combattente; violento nelle imprese squadristiche non sarà tuttavia privo di una parte propositiva riassumibile in alcune teorie espressione del cosiddetto "fascismo di sinistra": primato dell'industria, collaborazione fra un capitale "controllato" e il lavoro, lotta alla rendita parassitaria, un partito di "duri e puri".
A Spinelli, il fascismo agrario pistoiese contrapporrà poi il commerciante Ilio Lensi, capo delle squadre d'azione nel 1922, uomo rozzo e violento, ma ambizioso al punto di prestarsi a qualsiasi ruolo. Gli anni dal 1919 al 1922 vedono dunque il movimento fascista, finanziato dagli industriali e dagli agrari e spesso tollerato e sostenuto da apparati centrali e periferici dello Stato, crescere ed affermarsi nel Paese grazie alla violenza squadristica. E’ quest’ultima che stronca, in Italia ed anche nel Pistoiese, nell’agosto del 1922, al culmine di un biennio di sangue, lo "sciopero legalitario" antifascista indetto dalle organizzazioni operaie il 31 luglio.
Proprio in questi frangenti, il 5 agosto 1922, usciva in città il settimanale "L'Azione fascista". Il foglio segnava un significativo successo dell'ala intransigente permetteva ai fascisti di non dover più elemosinare spazio sul settimanale liberale "II Popolo pistoiese" e che sentiva di essere ormai forte a sufficienza per scrollarsi di dosso il peso della mal sopportata alleanza nel patto del Blocco nazionale con i liberali dell'onorevole Philipson. Su questo giornale troveremo la cronaca del ruolo svolto dagli squadristi pistoiesi durante le giornate dell’ottobre 1922, preannunciate già il 19 agosto da un fondo redazionale dal titolo "La marcia su Roma". Nel settembre il giornale, in vista delle elezioni comunali, sviluppa una forte polemica con i liberali di Philipson, rifiutando qualsiasi apparentamento e nel contempo attacca il mondo cattolico con lo scopo di ridurre alla sottomissione quegli esponenti del popolarismo, che seppur in concorrenza e spesso in contrapposizione ai "rossi", continuavano a rappresentare con le loro organizzazioni nelle campagne un serio pericolo per gli interessi dei ceti agrari dominanti.
Intanto mentre il governo del giolittiano Facta mostra tutta la sua inconcludenza e varie amministrazioni comunali di sinistra, in Italia come nel Pistoiese, sono obbligate a dimettersi dalla violenza fascista, il consiglio nazionale del movimento si riunisce per stabilire i tempi della "marcia".
Mussolini, che aveva intanto rinunciato alla pregiudiziale repubblicana e riallacciato i rapporti con D'Annunzio, sembrava inizialmente accontentarsi di una partecipazione fascista ad un Governo Giolitti, ma dopo la manifestazione di Napoli del 24 ottobre (sorta di "prova generale" alla quale prendono parte 40.000 camice nere) alza il prezzo e pretende la Presidenza del Consiglio. Si sposta così da Napoli a Milano, iniziando varie e complesse trattative politiche con Roma che vedono coinvolti numerosi personaggi, tra i quali , sembra, anche lo stesso Philipson (3), mentre a Perugia un "quadrumvirato" formato da Bianchi, De Vecchi, De Bono e Balbo si occupa del coordinamento operativo della "marcia". Tra l’altro, alcuni storici , attribuiscono proprio al "quadrumviro" Balbo la decisione di forzare la mano al titubante Mussolini dando il via alla dimostrazione di forza che, per quanto riguarda Pistoia, comincia già dal 26 ottobre. Un manifesto convoca in sede gli iscritti e gli squadristi dichiarando disertore chi manca alle disposizioni, mentre: "Gli onesti lavoratori, i cittadini tutti sono pregati di continuare la loro attività …gli scioperi…vengono …considerati… azioni delittuose"( 4 ).
Il 27 ottobre, dopo le 10 del mattino, su camion e automobili parte il primo gruppo di circa 200 squadristi salutati "da una numerosa folla di simpatizzanti fascisti…che cantano inni patriottici" ( 5).
Enrico Spinelli comanda la colonna formata di quattro squadre. Ai suoi ordini sono: Dino Orlandini, capo della "Disperata", Nello Paolini, comandante della " Pacino Pacini", Dino Lensi, alla guida della "Cesare Battisti" e Giuseppe Costa, leader della "Randaccio". La colonna si dirige verso Empoli dove è stabilito un punto di raccolta e dove giunge in serata dopo aver sostato alcune ore al passo di San Baronto. Intanto in città sotto la guida di Lensi si formano 12 squadre di 25 uomini ciascuna che il giorno dopo occupano gli edifici statali, mentre Leopoldo Bozzi, di estrazione liberale, futuro podestà di Pistoia ed artefice dell'operazione "Pistoia-Provincia", occupa con gli ex-combattenti ai suoi ordini la sede dei telefoni e dei telegrafi e, soprattutto, l'importante stazione ferroviaria (6).
Quindi quella numerosa presenza di fascisti in città che a prima vista appare come una disobbedienza gli ordini dei quadrumviri che invitavano a tralasciare il controllo delle città "sicure" per portarsi a Roma (7) , diventa invece determinante nel quadro generale della "marcia".
Curzio Malarparte asserì che fascisti pistoiesi avessero avuto precisi ordini in tal senso . Lo scrittore-giornalista pratese scrisse infatti di un treno di carabinieri respinto da alcune fucilate fasciste al ponte di Vaioni e di un camion di guardie regie provenienti da Lucca fermato a Serravalle dal fuoco di alcune mitragliatrici (8) .
Di ciò non si hanno prove, si ha comunque fondata notizia che a Pistoia il 28 ottobre venne bloccato in stazione un treno che portava a Roma un battaglione di alpini, carabinieri e guardie regie (9).
Intanto la colonna guidata da Spinelli aveva proseguito in treno per Chiusi e Orte dove trovava la linea interrotta da alcuni carri rovesciati. Dopo aver aggirato l'ostacolo pretendendo posto in un altro convoglio si era diretta per Monterotondo dove giungeva nelle prime ore del pomeriggio del 29.
Poco dopo la mezzanotte del 30, i fascisti pistoiesi ripresero la marcia per Roma fermandosi in attesa di ordini, come tutte le altre colonne, alle porte della città. In questi momenti domina in loro l'incertezza. Un partecipante, Giulio Innocenti, scrive: "... non sappiamo ancora quale piega hanno preso gli avvenimenti. La piazzaforte di Roma dispone, si dice, di cinquantamila uomini, "se sparassero?". Questa è la domanda muta" (10 ).
Infatti se lo stato d'assedio avesse avuto il suo corso e fossero intervenute le truppe, per gli squadristi non ci sarebbe stata partita, ma nella Corona e nei ceti dominanti prevale la tesi, ora che il movimento operaio è stato praticamente stroncato, di non sbarazzarsi del fascismo, ma di inserirlo, condizionandolo, nel sistema. Quindi il re respinge la firma dello stato d'assedio dichiarato da Facta (che si dimette) e il 30 ottobre affida il governo a Mussolini. Quest’ultimo giunge a Roma in treno e presenta subito il suo ministero nel quale figurano anche esponenti liberali e cattolici. A questo punto gli squadristi possono entrare in città come fa anche la "colonna Spinelli", raggiunta nel frattempo a Roma dagli altri duecento fascisti pistoiesi della "colonna Lensi". Il pistoiese Martino Moscardi annota : "La nostra entrata è stata trionfale. Tutti i militari indistintamente, tutti i picchetti delle caserme ci accoglievano con l'onore delle armi, fraternizzando entusiasticamente con noi"(11).
Le due colonne dopo essersi unite alla squadre di Bottai in una sanguinosa "spedizione punitiva" nei quartieri "rossi" del Trionfale e di S. Lorenzo marciarono poi, insieme alle altre, nella parata della vittoria che ebbe luogo nel pomeriggio del 31 davanti al Re al Quirinale. Poco dopo la sfilata vennero devastate le sedi di vari giornali, la Direzione nazionale del Partito Socialista e la Casa del Popolo di Roma.
Si contarono molti morti e feriti. I primi atti del governo Mussolini, saranno l'abolizione della nominatività dei titoli, più volte auspicata dagli industriali, il ritiro di un precedente progetto di riforma agraria, già passato alla Camera e l'istituzione della Milizia: primi passi di un "regime" ventennale e liberticida, con buona pace di coloro, non ultimi i giornalisti del liberale "Popolo pistoiese" e del cattolico "La Bandiera del popolo", che avevano salutato l'avvento di quel ministero con fiduciosa speranza o con inerte rassegnazione (12).
Il fascismo pistoiese giunse all’appuntamento della "marcia su Roma" dopo un percorso iniziato ufficialmente solo il 22 gennaio 1921 sotto la guida di Nereo Nesi. Tuttavia già durante le agitazioni operaie e contadine del "biennio rosso" 1919-1920, un liberale, Dino Philipson, giovane e ricco proprietario terriero, aveva avuto parte decisiva nella genesi del fascismo locale (2).
Philipson, pur finanziando il movimento e rivendicando poi esperienze squadristiche, non fu tuttavia un fascista in senso vero e proprio (successivamente passerà addirittura all’antifascismo). Il suo vero scopo era quello di servirsi delle squadre fasciste per stroncare il movimento operaio e contadino per poi, in un secondo tempo, ricondurre il fascismo nell’alveo della legalità.
A tal fine nel marzo-aprile 1922 ispirò la nascita dell’Unione Democratica Pistoiese privando così il fascio pistoiese dell’apporto diretto di quegli esponenti del notabilato agrario e conservatore che in varie altre parti d’Italia avevano finito per snaturare in senso reazionario le confuse tendenze sinistreggianti (sindacalismo, futurismo, repubblicanesimo) espresse dal movimento fascista nazionale al suo sorgere nel 1919.
La svolta di Philipson aprì quindi la strada in sede locale all'affermazione della componente della media e piccola borghesia urbana che ebbe l'esponente di punta nella figura di Enrico Spinelli, studente universitario di farmacia, ex-combattente; violento nelle imprese squadristiche non sarà tuttavia privo di una parte propositiva riassumibile in alcune teorie espressione del cosiddetto "fascismo di sinistra": primato dell'industria, collaborazione fra un capitale "controllato" e il lavoro, lotta alla rendita parassitaria, un partito di "duri e puri".
A Spinelli, il fascismo agrario pistoiese contrapporrà poi il commerciante Ilio Lensi, capo delle squadre d'azione nel 1922, uomo rozzo e violento, ma ambizioso al punto di prestarsi a qualsiasi ruolo. Gli anni dal 1919 al 1922 vedono dunque il movimento fascista, finanziato dagli industriali e dagli agrari e spesso tollerato e sostenuto da apparati centrali e periferici dello Stato, crescere ed affermarsi nel Paese grazie alla violenza squadristica. E’ quest’ultima che stronca, in Italia ed anche nel Pistoiese, nell’agosto del 1922, al culmine di un biennio di sangue, lo "sciopero legalitario" antifascista indetto dalle organizzazioni operaie il 31 luglio.
Proprio in questi frangenti, il 5 agosto 1922, usciva in città il settimanale "L'Azione fascista". Il foglio segnava un significativo successo dell'ala intransigente permetteva ai fascisti di non dover più elemosinare spazio sul settimanale liberale "II Popolo pistoiese" e che sentiva di essere ormai forte a sufficienza per scrollarsi di dosso il peso della mal sopportata alleanza nel patto del Blocco nazionale con i liberali dell'onorevole Philipson. Su questo giornale troveremo la cronaca del ruolo svolto dagli squadristi pistoiesi durante le giornate dell’ottobre 1922, preannunciate già il 19 agosto da un fondo redazionale dal titolo "La marcia su Roma". Nel settembre il giornale, in vista delle elezioni comunali, sviluppa una forte polemica con i liberali di Philipson, rifiutando qualsiasi apparentamento e nel contempo attacca il mondo cattolico con lo scopo di ridurre alla sottomissione quegli esponenti del popolarismo, che seppur in concorrenza e spesso in contrapposizione ai "rossi", continuavano a rappresentare con le loro organizzazioni nelle campagne un serio pericolo per gli interessi dei ceti agrari dominanti.
Intanto mentre il governo del giolittiano Facta mostra tutta la sua inconcludenza e varie amministrazioni comunali di sinistra, in Italia come nel Pistoiese, sono obbligate a dimettersi dalla violenza fascista, il consiglio nazionale del movimento si riunisce per stabilire i tempi della "marcia".
Mussolini, che aveva intanto rinunciato alla pregiudiziale repubblicana e riallacciato i rapporti con D'Annunzio, sembrava inizialmente accontentarsi di una partecipazione fascista ad un Governo Giolitti, ma dopo la manifestazione di Napoli del 24 ottobre (sorta di "prova generale" alla quale prendono parte 40.000 camice nere) alza il prezzo e pretende la Presidenza del Consiglio. Si sposta così da Napoli a Milano, iniziando varie e complesse trattative politiche con Roma che vedono coinvolti numerosi personaggi, tra i quali , sembra, anche lo stesso Philipson (3), mentre a Perugia un "quadrumvirato" formato da Bianchi, De Vecchi, De Bono e Balbo si occupa del coordinamento operativo della "marcia". Tra l’altro, alcuni storici , attribuiscono proprio al "quadrumviro" Balbo la decisione di forzare la mano al titubante Mussolini dando il via alla dimostrazione di forza che, per quanto riguarda Pistoia, comincia già dal 26 ottobre. Un manifesto convoca in sede gli iscritti e gli squadristi dichiarando disertore chi manca alle disposizioni, mentre: "Gli onesti lavoratori, i cittadini tutti sono pregati di continuare la loro attività …gli scioperi…vengono …considerati… azioni delittuose"( 4 ).
Il 27 ottobre, dopo le 10 del mattino, su camion e automobili parte il primo gruppo di circa 200 squadristi salutati "da una numerosa folla di simpatizzanti fascisti…che cantano inni patriottici" ( 5).
Enrico Spinelli comanda la colonna formata di quattro squadre. Ai suoi ordini sono: Dino Orlandini, capo della "Disperata", Nello Paolini, comandante della " Pacino Pacini", Dino Lensi, alla guida della "Cesare Battisti" e Giuseppe Costa, leader della "Randaccio". La colonna si dirige verso Empoli dove è stabilito un punto di raccolta e dove giunge in serata dopo aver sostato alcune ore al passo di San Baronto. Intanto in città sotto la guida di Lensi si formano 12 squadre di 25 uomini ciascuna che il giorno dopo occupano gli edifici statali, mentre Leopoldo Bozzi, di estrazione liberale, futuro podestà di Pistoia ed artefice dell'operazione "Pistoia-Provincia", occupa con gli ex-combattenti ai suoi ordini la sede dei telefoni e dei telegrafi e, soprattutto, l'importante stazione ferroviaria (6).
Quindi quella numerosa presenza di fascisti in città che a prima vista appare come una disobbedienza gli ordini dei quadrumviri che invitavano a tralasciare il controllo delle città "sicure" per portarsi a Roma (7) , diventa invece determinante nel quadro generale della "marcia".
Curzio Malarparte asserì che fascisti pistoiesi avessero avuto precisi ordini in tal senso . Lo scrittore-giornalista pratese scrisse infatti di un treno di carabinieri respinto da alcune fucilate fasciste al ponte di Vaioni e di un camion di guardie regie provenienti da Lucca fermato a Serravalle dal fuoco di alcune mitragliatrici (8) .
Di ciò non si hanno prove, si ha comunque fondata notizia che a Pistoia il 28 ottobre venne bloccato in stazione un treno che portava a Roma un battaglione di alpini, carabinieri e guardie regie (9).
Intanto la colonna guidata da Spinelli aveva proseguito in treno per Chiusi e Orte dove trovava la linea interrotta da alcuni carri rovesciati. Dopo aver aggirato l'ostacolo pretendendo posto in un altro convoglio si era diretta per Monterotondo dove giungeva nelle prime ore del pomeriggio del 29.
Poco dopo la mezzanotte del 30, i fascisti pistoiesi ripresero la marcia per Roma fermandosi in attesa di ordini, come tutte le altre colonne, alle porte della città. In questi momenti domina in loro l'incertezza. Un partecipante, Giulio Innocenti, scrive: "... non sappiamo ancora quale piega hanno preso gli avvenimenti. La piazzaforte di Roma dispone, si dice, di cinquantamila uomini, "se sparassero?". Questa è la domanda muta" (10 ).
Infatti se lo stato d'assedio avesse avuto il suo corso e fossero intervenute le truppe, per gli squadristi non ci sarebbe stata partita, ma nella Corona e nei ceti dominanti prevale la tesi, ora che il movimento operaio è stato praticamente stroncato, di non sbarazzarsi del fascismo, ma di inserirlo, condizionandolo, nel sistema. Quindi il re respinge la firma dello stato d'assedio dichiarato da Facta (che si dimette) e il 30 ottobre affida il governo a Mussolini. Quest’ultimo giunge a Roma in treno e presenta subito il suo ministero nel quale figurano anche esponenti liberali e cattolici. A questo punto gli squadristi possono entrare in città come fa anche la "colonna Spinelli", raggiunta nel frattempo a Roma dagli altri duecento fascisti pistoiesi della "colonna Lensi". Il pistoiese Martino Moscardi annota : "La nostra entrata è stata trionfale. Tutti i militari indistintamente, tutti i picchetti delle caserme ci accoglievano con l'onore delle armi, fraternizzando entusiasticamente con noi"(11).
Le due colonne dopo essersi unite alla squadre di Bottai in una sanguinosa "spedizione punitiva" nei quartieri "rossi" del Trionfale e di S. Lorenzo marciarono poi, insieme alle altre, nella parata della vittoria che ebbe luogo nel pomeriggio del 31 davanti al Re al Quirinale. Poco dopo la sfilata vennero devastate le sedi di vari giornali, la Direzione nazionale del Partito Socialista e la Casa del Popolo di Roma.
Si contarono molti morti e feriti. I primi atti del governo Mussolini, saranno l'abolizione della nominatività dei titoli, più volte auspicata dagli industriali, il ritiro di un precedente progetto di riforma agraria, già passato alla Camera e l'istituzione della Milizia: primi passi di un "regime" ventennale e liberticida, con buona pace di coloro, non ultimi i giornalisti del liberale "Popolo pistoiese" e del cattolico "La Bandiera del popolo", che avevano salutato l'avvento di quel ministero con fiduciosa speranza o con inerte rassegnazione (12).
1) Cfr. A. Cipriani, Il fascismo pistoiese. Genesi, sviluppo, affermazione, in "Microstoria", n. 16 (mar./apr. 2001); C.O.Gori, Figure del fascismo pistoiese. Una città che non seppe esprimere figure forti, in "Microstoria", n. 16 (mar./apr. 2001).
2) Cfr. C.O. Gori, Il "calmiere Lavarini" durante il Biennio rosso. Le giornate pistoiesi ripercorse attraverso i giornali di allora, in "Microstoria", n. 11 (mag. 2000). Su questi aspetti cfr. anche: R. Risaliti, Nascita e affermazione del fascismo a Pistoia, in Farestoria, n. 1 (1983); G. Petracchi, La genesi del fascismo a Pistoia, in 28 ottobre e dintorni, Firenze, Polistampa, 1994
3) Cfr. M. Francini, Primo dopoguerra e origini del fascismo a Pistoia, Firenze, Libreria Feltrinelli, 1976, pag. 133, n.21
4) "L'Azione fascista" (28 ott. 1922).
5) G. Innocenti, Ave Roma!... Diario della marcia su Roma..., Pistoia, Arte della stampa, 21 aprile 1923, pag. 7
6) ivi, pag. 6
7) E' questa la tesi dello storico Marco Francini in Primo dopoguerra ...cit., pagg. 132-133
8) Cfr. C. Malaparte, Tecnica del colpo di stato, in Opere scelte, Milano, Mondadori, 1997, pagg. 264-265
9) Cfr. M. Francini, Primo dopoguerra...cit., pag. 134
10) G. Innocenti, Echi di guerra, in "L'Azione fascista", (4 nov. 1922)
11) cfr. Innocenti, Ave Roma! ...cit. pag. 18
12) Cfr. "Il Popolo pistoiese" e "La Bandiera del popolo" del 4 novembre 1922.
Carlo O. Gori
cog@interfree.it
Rielaborazione degli articoli:
Carlo Onofrio Gori, Il “calmiere Lavarini” durante il Biennio Rosso. Le giornate pistoiesi ripercorse attraverso i giornali di allora, in “Microstoria”, n. 11 (mag. 2000).
Carlo Onofrio Gori, Figure del fascismo pistoiese: una città che non seppe esprimere figure forti, in "Microstoria", n. 16 (mar./apr. 2001).
Carlo Onofrio Gori, La "marcia su Roma" di un fascio diviso: Pistoia presidio fascista sulla Porrettana, in "Microstoria", n. 25 (set./ott. 2002).
e su: http://goriblogstoria.blogspot.it/2012/11/la-marciasu-roma-di-un-fascio-diviso.html
Carlo Onofrio Gori, Il “calmiere Lavarini” durante il Biennio Rosso. Le giornate pistoiesi ripercorse attraverso i giornali di allora, in “Microstoria”, n. 11 (mag. 2000).
Carlo Onofrio Gori, Figure del fascismo pistoiese: una città che non seppe esprimere figure forti, in "Microstoria", n. 16 (mar./apr. 2001).
Carlo Onofrio Gori, La "marcia su Roma" di un fascio diviso: Pistoia presidio fascista sulla Porrettana, in "Microstoria", n. 25 (set./ott. 2002).
Pubblicato anche su: http://members.xoom.virgilio.it/marivan53/fatti.htm#La "marcia su Roma" dei fascisti pistoiesi
e su: http://goriblogstoria.blogspot.it/2012/11/la-marciasu-roma-di-un-fascio-diviso.html
Questo articolo è riproducibile parzialmente o totalmente previo consenso o citazione esplicita dell'Autore.
I trasgressori saranno apertamente indicati da questo blog.
2011: segnalazione di avvenuta violazione (...insomma...per intendersi copiano pari pari a man bassa senza citare la fonte...).
I trasgressori saranno apertamente indicati da questo blog.
2011: segnalazione di avvenuta violazione (...insomma...per intendersi copiano pari pari a man bassa senza citare la fonte...).
Anonimo/i estensori su Wikipedia della voce "Storia di Pistoia", successiva all'uscita di questo post e degli articoli da me pubblicati sulle riviste sopra citate, ha/hanno VIOLATO la regola suddetta che per me non vuol essere un legal-burocratico richiamo al copyright, ma semplicemente il sollecitare all'osservanza di una elementare norma civile ed al rispetto, sia per la persona che fatica ricercando e pubblicando articoli, sia per le riviste e per il blog sulle quali li pubblica. Si può riprodurre, ma basta semplicemente citare la fonte!
Gli scorretti ed ineffabili copiatori di questo e di altri miei articoli segnalati al relativo post (tra l'altro richiamati dalla stessa agenzia Wikipedia che ha fatto notare che alcuni passi sono "senza fonte"), oltre a riassumere (male) cambiando qualche parola (ma questo, sebbene scorretto può considerarsi più che lecito), hanno però copiato "pari-pari" da questo post molti passi come potete, dal confronto, vedere sotto (....e scusate se è poco):
"La genesi
Pistoia essendo il terminale della ferrovia Porrettana, allora più importante valico tra nord e il centro Italia, in Toscana aveva nel 1922 una posizione strategica nelle comunicazioni.La direttissima Firenze-Bologna infatti venne costruita solo negli anni trenta.
Dunque il controllo della stazione ferroviaria da parte degli squadristi pistoiesi nelle giornate tra il 26 ed il 29 ottobre 1922, permise di coprire le spalle alle colonne fasciste che marciavano su Roma, mettendole al sicuro da possibili sgradite sorprese soprattutto nei primi incerti momenti della proclamazione stato d'assedio.
Il fascismo pistoiese giunse all'appuntamento della marcia su Roma dopo un percorso iniziato ufficialmente solo il 22 gennaio 1921 sotto la guida di Nereo Nesi. Tuttavia già durante le agitazioni operaie e contadine del biennio rosso 1919-1920, un liberale, Dino Philipson, giovane e ricco proprietario terriero, aveva avuto parte decisiva nella genesi del fascismo locale.
Philipson, che divenne poi antifascista, aveva lo scopo di servirsi delle squadre fasciste per stroncare il movimento operaio e contadino per poi, in un secondo tempo, ricondurre il fascismo nell'alveo della legalità. A tal fine nelmarzo-aprile 1922 ispirò la nascita dell'Unione Democratica Pistoiese privando così il fascio pistoiese dell'apporto diretto di quegli esponenti del notabilato agrario e conservatore che in varie altre parti d'Italia avevano finito per snaturare in senso reazionario le confuse tendenze di sindacalismo, futurismo e repubblicanesimo; espresse dal movimento fascista nazionale al suo sorgere nel 1919.
La svolta di Philipson aprì quindi la strada in sede locale all'affermazione della componente della media e piccola borghesia urbana che ebbe l'esponente di punta nella figura di Enrico Spinelli, studente universitario di farmacia, ex-combattente; violento nelle imprese squadristiche non sarà tuttavia privo di una parte propositiva riassumibile in alcune teorie espressione del cosiddetto "fascismo di sinistra": primato dell'industria, collaborazione fra un capitale "controllato" e il lavoro, lotta alla rendita parassitaria, un partito di "duri e puri". A Spinelli, il fascismo agrario pistoiese contrapporrà poi il commerciante Ilio Lensi, capo delle squadre d'azione nel 1922, uomo di scarsa educazione e violento, ma ambizioso al punto di prestarsi a qualsiasi ruolo.
Gli anni dal 1919 al 1922 vedono dunque il movimento fascista, finanziato dagli industriali e dagli agrari e spesso tollerato e sostenuto da apparati centrali e periferici dello Stato, crescere ed affermarsi nel Paese grazie alla violenza squadristica.
È quest'ultima che stronca, in Italia ed anche nel Pistoiese, nell'agosto del 1922, al culmine di un biennio di sangue, lo "sciopero legalitario" antifascista indetto dalle organizzazioni operaie il 31 luglio. Proprio in questi frangenti, il 5 agosto 1922, usciva in città il settimanale L'Azione fascista. Il foglio segnava un significativo successo dell'ala intransigente permetteva ai fascisti di non dover più elemosinare spazio sul settimanale liberale II Popolo pistoiesee che sentiva di essere ormai forte a sufficienza per scrollarsi di dosso il peso della mal sopportata alleanza nel patto del blocco nazionale con i liberali dell'onorevole Philipson.
Negli anni seguenti vennero create nella città altre pubblicazioni di stampo fascista; la più celebre fu Il Ferruccio, edito tra il 1932 e il 1944, alla quale collaborarono i giovanissimi Mario Luzi, Piero Bigongiari, Oreste Macrì e Danilo Bartoletti.
[modifica]La marcia su Roma
Su L'Azione fascista venne scritta la cronaca del ruolo svolto dagli squadristi pistoiesi durante le giornate dell'ottobre 1922, preannunciate già il 19 agosto da un fondo redazionale dal titolo La marcia su Roma.
Nel settembre il giornale, in vista delle elezioni comunali, sviluppa una forte polemica con i liberali di Philipson, rifiutando qualsiasi apparentamento e nel contempo attacca il mondo cattolico con lo scopo di ridurre alla sottomissione quegli esponenti del popolarismo, che seppur in concorrenza e spesso in contrapposizione ai rossi, continuavano a rappresentare con le loro organizzazioni nelle campagne un serio pericolo per gli interessi dei ceti agrari dominanti.
Nel settembre il giornale, in vista delle elezioni comunali, sviluppa una forte polemica con i liberali di Philipson, rifiutando qualsiasi apparentamento e nel contempo attacca il mondo cattolico con lo scopo di ridurre alla sottomissione quegli esponenti del popolarismo, che seppur in concorrenza e spesso in contrapposizione ai rossi, continuavano a rappresentare con le loro organizzazioni nelle campagne un serio pericolo per gli interessi dei ceti agrari dominanti.
Intanto mentre il governo Facta mostra tutta la sua inconcludenza e varie amministrazioni comunali di sinistra, in Italia come nel pistoiese, sono obbligate a dimettersi dalla violenza fascista, il consiglio nazionale del movimento si riunisce per stabilire i tempi della marcia.
Mussolini, che aveva intanto rinunciato alla pregiudiziale repubblicana e riallacciato i rapporti con D'Annunzio, sembrava inizialmente accontentarsi di una partecipazione fascista ad un governo Giolitti, ma dopo la manifestazione di Napoli del 24 ottobre (sorta di "prova generale" alla quale prendono parte 40.000 camice nere) alza il prezzo e pretende la [[Presidente del Consiglio dei Ministri |Presidenza del Consiglio]]. Si sposta così da Napoli a Milano, iniziando varie e complesse trattative politiche con Roma che vedono coinvolti numerosi personaggi, tra i quali, sembra, anche lo stesso Philipson, mentre a Perugia un quadrumvirato formato da Michele Bianchi, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e Italo Balbo si occupò del coordinamento operativo della marcia.
Tra l'altro, alcuni storici, attribuiscono proprio al quadrumviro Balbo la decisione di forzare la mano al titubante Mussolini dando il via alla dimostrazione di forza che, per quanto riguarda Pistoia, comincia già dal 26 ottobre. Un manifesto convoca in sede gli iscritti e gli squadristi dichiarando disertore chi manca alle disposizioni, mentre: «Gli onesti lavoratori, i cittadini tutti sono pregati di continuare la loro attività, [...] gli scioperi vengono considerati azioni delittuose».
Il 27 ottobre, dopo le 10 del mattino, su camion e automobili parte il primo gruppo di circa 200 squadristi salutati da una numerosa folla di simpatizzanti fascisti. Enrico Spinelli comandò la colonna formata di quattro squadre. Ai suoi ordini erano: Dino Orlandini, capo della "Disperata", Nello Paolini, comandante della "Pacino Pacini", Dino Lensi, alla guida della "Cesare Battisti" e Giuseppe Costa, leader della "Randaccio". La colonna si diresse versoEmpoli dove giunse in serata dopo aver sostato alcune ore al passo di San Baronto. Nella città era stabilito un punto di raccolta.
Intanto in città sotto la guida di Lensi si formano 12 squadre di 25 uomini ciascuna che il giorno dopo occuparono gli edifici statali, mentre Leopoldo Bozzi, noto liberale futuro podestà di Pistoia ed artefice dell'operazione Pistoia-Provincia, occupò con gli ex-combattenti ai suoi ordini la sede dei telefoni e dei telegrafi e, soprattutto, l'importante stazione ferroviaria.
Intanto in città sotto la guida di Lensi si formano 12 squadre di 25 uomini ciascuna che il giorno dopo occuparono gli edifici statali, mentre Leopoldo Bozzi, noto liberale futuro podestà di Pistoia ed artefice dell'operazione Pistoia-Provincia, occupò con gli ex-combattenti ai suoi ordini la sede dei telefoni e dei telegrafi e, soprattutto, l'importante stazione ferroviaria.
La numerosa presenza di fascisti in città che a taluni apparì come una disobbedienza gli ordini dei quadrumviri che invitavano a tralasciare il controllo delle città sicure per portarsi a Roma, diventò invece determinante nel quadro generale della "marcia".
Curzio Malaparte asserì che fascisti pistoiesi avessero avuto precisi ordini in tal senso . Lo scrittore e giornalista pratese scrisse infatti di un treno di carabinieri respinto da alcune fucilate fasciste al ponte di Vaioni e di un camion di guardie regie provenienti da Lucca fermato a Serravalle dal fuoco di alcune mitragliatrici. Di ciò non si hanno prove, si ha comunque fondata notizia che a Pistoia il 28 ottobre venne bloccato in stazione un treno che portava a Roma un battaglione di alpini, carabinieri e guardie regie.
Intanto la colonna guidata da Spinelli aveva proseguito in treno per Chiusi e Orte dove trovava la linea interrotta da alcuni carri rovesciati. Dopo aver aggirato l'ostacolo pretendendo posto in un altro convoglio si era diretta perMonterotondo dove giungeva nelle prime ore del pomeriggio del 29. Poco dopo la mezzanotte del 30 ottobre, i fascisti pistoiesi ripresero la marcia per Roma fermandosi in attesa di ordini, come tutte le altre colonne, alle porte della città.
Quando il re respinse la firma dello stato d'assedio dichiarato da Luigi Facta (che si diede le dimissioni) e il 30 ottobre affidò il governo a Mussolini, gli squadristi potettero entrare in città come fece anche la "colonna Spinelli", raggiunta nel frattempo a Roma dagli altri duecento fascisti pistoiesi della "colonna Lensi". Il pistoiese Martino Moscardi annotò: «La nostra entrata è stata trionfale. Tutti i militari indistintamente, tutti i picchetti delle caserme ci accoglievano con l'onore delle armi, fraternizzando entusiasticamente con noi». Le due colonne dopo essersi unite alla squadre di Bottai in una sanguinosa spedizione punitiva nei quartieri "rossi" del Trionfale e di San Lorenzomarciarono poi, insieme alle altre, nella parata della vittoria che ebbe luogo nel pomeriggio del 31 davanti al Re Vittorio Emanuele III al Quirinale. "
cfr.: http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_di_Pistoia
Ringrazio invece Giuseppe Barra di Eboli che, apportando nuovi ed inediti contributi sulla figura di Dino Philipson, ha voluto citare chiaramente e correttamente in questo interessante post che qui riproduco i miei articoli sull'argomento:
DINO PHILIPSON CONFINATO POLITICO AD EBOLI
Dobbiamo ringraziare il professore Cosimo Bentivenga se ci è capitata tra le mani la documentazione della presenza in Eboli dell’onorevole Dino Philipson.
Dino Philipson di sangue ebraico nasce in Toscana alla fine del XIX secolo e dopo essersi laureato in legge esercita la professione di avvocato e nello stesso tempo, con i suoi familiari, dirige la sua azienda agricola. Nel 1919, candidatosi nelle file del Partito Liberale, viene eletto onorevole. Si dice che è un brillante giovane ed è un ex combattente che sarà poi uno dei fondatori del fascismo pistoiese. Dino, pur finanziando il movimento fascista e rivendicando poi esperienze squadristiche, non fu tuttavia un fascista in senso vero e proprio, successivamente passerà addirittura all’antifascismo. Carlo Onofrio Gori, nel suo “Figure del fascismo pistoiese”, nella rivista “Microstoria”, anno 3 n. 16 del marzo-aprile 2001, così riporta: “A Pistoia parte decisiva nella genesi del fascismo locale l’ebbe Dino Philipson: ricco proprietario terriero fiorentino con possedimenti nel pistoiese, di origine ebraica, massone, avvocato, ex combattente, deputato liberale nel 1919 che, pur rivendicando poi esperienze squadristiche, non fu mai un fascista in senso vero e proprio e che, in anni successivi, troveremo nelle file dell’antifascismo. La paura suscitata dal “biennio rosso” 1919-20, determinò il vero scopo di Philipson, quello di servirsi delle squadre fasciste per distruggere le organizzazioni operaie e contadine ed in un secondo tempo ricondurre il fascismo nell’alveo della legalità. A tal fine nel marzo-aprile 1922 ispirò la nascita dell’Unione Democratica Pistoiese privando così il fascio locale (nato ufficialmente il 22 gennaio 1921 sotto la guida di Nero Nesi) dell’apporto diretto di vari esponenti del notabilato agrario e conservatore”.
Dopo le leggi del 1938, Benito Mussolini, rivolgendosi a Ivone De Begnac afferma: “Io, premeditatamente contro gli ebrei? Ma, se lo fossi stato, avrei portato in parlamento i Dino Philipson, i Gino Arias, i Guido Jung, i Gino Olivetti ... e Teodoro Mayer, da me nominato senatore e Ministro di Stato, non sarà danneggiato dalle disposizioni fasciste in tema di difesa della razza”.
Dopo la legge del 1938 emanata da Benito Mussolini, l’avvocato Dino Philipson fu esiliato ad Eboli ed abitava in piazza Borgo e proprio in quella casa dove è quel bel loggiato.
Il Professore Bentivenga abitava al piano inferiore con i suoi genitori e con i fratelli e ricorda che questo distinto signore, sempre ben vestito, nelle ore mattutine, quando lui usciva, una signora gli rassettava la casa e lo cucinava. Era stimato e considerato, molti del vicinato lo tenevano in considerazione e lo chiamavano “il professore”. Non esitava a dare consigli e suggerimenti a chi si avvicinava per chiedergli qualcosa. La gente ricambiava con generi agricoli e nelle festività, i più agiati, addirittura con qualche gallo. Il nostro Cosimo Bentivenga ricorda anche che una volta “il professore” ha regalato a loro una piccola quantità di farina di castagne per fare dei dolci, cosa nuova per il piccolo Cosimo che da allora, ogni qualvolta mangia dei dolci prodotti con le castagne gli passa per la mente quel momento bello per quei tempi di magra.
Non sappiano con esattezza il periodo trascorso nella “sua Eboli”, così la definisce il Philipson in alcune occasioni, dopo che fu nuovamente eletto Onorevole. Si era innamorato di questa città per la bellezza del posto e per la bontà di alcuni?
Ci piace pensare che l’amore è nato per ambe le cose.
L’onorevole Dino Philipson fu nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio l’1 febbraio 1944 nel Primo Governo Badoglio che fu istituito il 25 luglio 1943 e durò fino al 17 aprile 1944.
Il Nostro fu negli anni 1945-46 anche nella Consulta Nazionale il quale in base all’articolo 1 comma 2, del Decreto legislativo presidenziale del 24 giugno 1946, n. 20, ebbe dritto alla medaglia commemorativa della Consulta.
Il Ministro dei Lavori Pubblici Raffaele De Caro, con lettera del 20 aprile 1944 scrive al Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio (deteneva tale carica dall’1 febbraio 1944) la seguente lettera : “Caro Philipson, in relazione alle premure da te rivoltemi ti comunico che sono state accuratamente esaminate le questioni interessanti il Comune di Eboli e ti assicuro che tali questioni saranno tenute presenti per tutti i provvedimenti che in proposito sarà possibile adottare. Per quanto riguarda lo sgombero di macerie e demolizioni di strutture pericolanti, in dipendenza di danni di guerra, ti comunico che sono già stati autorizzati lavori per circa due milioni, e che tali lavori sono stati già iniziati e saranno proseguiti a cura dell’Ufficio del Genio Civile di Salerno. Per la ricostituzione dell’Ufficio Tecnico Comunale, poi, sarà necessario che l’iniziativa venga presa dal Comune stesso, il quale, determinate le proprie decisioni, dovrà provvedere ad interessare in proposito la R. Prefettura.”
A penna segue: “Quanto sopra per la tua Eboli” e la firma del Ministro. Tale documento è stato dato in Salerno quando questa città è stata Capitale d’Italia.
Pubblicato il: 17-2-2009 (Giuseppe Barra di Eboli)
http://www.sbngs.it/italia--piemonte/arte--contributi-utenti--artisti/dino-philipson-confinato-politico-ad-eboli/2964
postato da: gorca49 alle ore 18:06 | link | commenti (6)
categorie: fascismo, novecento, storia contemporanea, marcia su roma, pistoia, carlo o gori, carlo onofrio gori, malaparte curzio, gori carlo o, carlo gori, microstoria rivista, moscardi martino, innocenti giulio, bozzi leopoldo, costa giuseppe, lensi dino, paolini nello, orlandini dino, spinelli enrico, nesi nereo, philipson dino
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