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Storia. Il periodo “francese” a Pistoia (1796-1814)
"Adì 26 giugno 1796: passò il generale Bonaparte per la strada nova e capitò direttamente a Pistoia con una armata di quindicimila uomini e gran numero di ufiziali". La "strada nova" citata dall'anonimo cronista, era la "Modenese" che valica l'Appennino passando per l'Abetone e termina a Capostrada, alle porte di Pistoia. Inaugurata nel 1781 "con rabbia dei bolognesi e gelosia dei fiorentini" farà di Pistoia il passaggio preferito di commercianti e viaggiatori, ma anche, in periodi instabili, di ogni sorta di eserciti.
Città portata per vocazione alla tranquillità, Pistoia era già salita alla ribalta europea una decina d'anni prima per gli echi del Sinodo diocesano del 1786 con cui il "giansenista" Scipione de' Ricci, vescovo di Pistoia e Prato, cercò senza successo di apportare riforme che riconducessero la Chiesa alle origini spirituali, appoggiato dall' "illuminista" e modernizzatore granduca Pietro Leopoldo.
Ma torniamo a Napoleone che il 26 giugno 1796 passeggia in città ed ispeziona i suoi soldati accampati fuori Porta al Borgo, in procinto di dirigersi a Livorno per occuparne il porto ed inibirlo ai traffici inglesi.
La Francia rivoluzionaria, animata dallo slancio liberatorio in nome della solidarietà fra nazioni sorelle, era ormai solo un ricordo, ma alcuni "democratici", come il poeta Filippo Pananti, di passaggio a Pistoia, ebbero vedendo sfilare l'Armée d'Italie, la percezione che, al di là delle intenzioni del Direttorio, si trattava comunque di una ventata d'aria nuova che in Italia avrebbe finito per sconvolgere gli antichi privilegi feudali ed ecclesiastici ed in Toscana il calmo progresso del riformismo leopoldino.
Tuttavia prevalse la paura per eventuali intemperanze dei francesi, che formalmente non erano invasori perché il loro arrivo nella neutrale Toscana avveniva col forzato benestare del granduca Ferdinando III.
Finita la parentesi "livornese” il presidente del Buon Governo granducale, Giuseppe Giusti, timoroso del "contagio francese" diede il via ad un persecutorio controllo politico al quale, ad esempio in Valdinievole, non sfuggirono l'economista ginevrino Sismondi ed il patriota pesciatino avv. Celestino Chiti la cui figlia Ester, per ironia della sorte, sposerà successivamente proprio il figlio di Giuseppe senior,Domenico Giusti, dai quali nascerà Giuseppe Giusti, il futuro poeta satirico.
Il secondo ritorno francese in Toscana nel 1799 fu indubbiamente più traumatico. A Pistoia l’Armée, già scesa dalla Modenese il 31 dicembre 1798 e nei giorni successivi per impadronirsi dello stato di Lucca, occupò la città il 30 marzo 1799 quando, per giungere in soccorso della Repubblica Partenopea, aveva ormai avviato anche l’invasione del Granducato. Ferdinando III fuggiva a Vienna mentre a Firenze il gen. Gaultier e l'ambasciatore Reinhard assumevano il comando militare e politico-civile.
I francesi, ligi agli ordini del Direttorio, lasciarono piantare "alberi della libertà" e circolare coccarde tricolori, ma non diedero certo spazio alle istanze di concreto rinnovamento dei democratici locali.
Ben presto la richiesta di imposizioni straordinarie alla Comunità civica pistoiese per il mantenimento dei soldati e le requisizioni di cavalli suscitarono tanto malumore che il 13 aprile, assente gran parte della guarnigione, si verificò un tumulto spontaneo di contadini convenuti in città per il mercato. Finì a pezzi l'Albero della Libertà piantato in Piazza del Duomo, fu rimesso il sigillo granducale a Palazzo Pretorio e occupata, armi alla mano, la Fortezza di Santa Barbara. Qualche "giacobino" ne uscì sonoramente bastonato. Per l'intervento pacificatore del vescovo Falchi Picchinesi e di altri benpensanti, timorosi della reazione francese, il tumulto si esaurì nella giornata.
Il giorno seguente il delegato Kerner, comandante la guarnigione, istituì la Municipalità con a capo il patriota Aldobrando Paolini, già seguace del riformismo leopoldino e ricciano. Mentre veniva costituita la Guardia nazionale, il comandante della piazza, il "cisalpino" Peyri, catturava 23 promotori del tumulto.
La neonata e zelante Municipalità indisse una festa patriottica per il 5 floreale (24 aprile), ma i "municipalisti" interessavano agli occupanti soprattutto come fidati intermediari per mantenere l'ordine pubblico ed assicurare frequenti e forti contribuzioni. Dopo altri tumulti a Serravalle, Borgo e Pescia (4 e 5 maggio), alcuni nobili ed ecclesiastici toscani , tra i quali i pistoiesi Rospigliosi, Tonti, Cellesi, Talenti e Trinci, erano deportati come ostaggi in Francia dalla quale tornarono nell'agosto del 1800. (Vd. in questo blog il post "Douce France")
Ma i francesi sconfitti dagli austro-russi alla Trebbia (Napoleone era in Egitto) ed incalzati per gran parte della regione dalle bande aretine dell'inatteso e temibile moto sanfedista del Viva Maria, originato dal "binomio di fame e fede" (G. Turi), dovettero ritirarsi.
Il 4 luglio 1799 il granduca Ferdinando III rientrò a Firenze e due giorni dopo le sue truppe entrarono in Pistoia dalla quale i francesi se ne erano andati non senza prima aver estorto altre pesanti contribuzioni.
La città ne uscì stremata. Il Civinini, cronista pistoiese del periodo, scriveva: "vale …il pane soldi cinque la libbra. Si campa in gran afflizione" e gli faceva eco un altro cronista, il Bonacchi, che affermava: "Le genti povere urlano la fame e il pane vale soldi 6 e denari 4 la libbra". L’Albero della Libertà viene bruciato ed la Statua della Libertà posta dai “giacobini” nella loggia del Palazzo civico viene sostituita da un altare, mentre nelle chiese pistoiesi si celebrano Te Deum di ringraziamento e si festeggia con un pranzo per 500 poveri.
Cremani, nuovo commissario del Buon Governo granducale, si distingue nello "spurgo dei democratici dalla pubblica amministrazione" e nella schedatura dei "notati per giacobinismo". Tuttavia la repressione in Toscana, a parte il raccapricciante episodio del "pogrom" antiebraico scatenato a Siena dalle bande del Viva Maria, fu lontana dagli eccessi che caratterizzarono il ritorno di Ferdinando IV di Borbone a Napoli e che contribuirono in molti ambienti italiani a rendere nuovamente popolare la causa francese. Ad esempio a Pistoia molti dei catturati seguirono la sorte che il 26 agosto toccò al giovane barbiere “giacobino” Filippo Tozzelli, detto “il Rigaglia”, condannato a 8 mesi e messo per un po’alla berlina fuori del tribunale: i Lorena non volevano fare né martiri, né eroi.
Nel giugno del 1800 le sorti si rovesciano nuovamente: Napoleone, vince a Marengo ed in ottobre ritornano i francesi: questa volta a giungere a Pistoia sono le truppe cisalpine nelle cui file milita il capitano Ugo Foscolo. Il loro comandante, gen. Domenico Pino, ricostituisce subito la Municipalità con a capo Paolini, appena liberato dal carcere granducale, mentre a Pescia il 24 riprende i suoi incarichi il patriota Chiti.
Ricomincia però anche la richiesta di pesanti esazioni da parte dei francesi: cosa accadeva a chi non pagava? Ad esempio, come ricorda il Bonacchi, il 27 ottobre a Carlo Fabroni che "non volle pagare una contribuzione, l'anno [sic] serrato in casa con le sentinelle al palazzo a sue spese fino a quel tanto che non avrà pagato." Lo stesso giorno alla fattoria Smilea di Montale avveniva un tumulto contro i francesi per una requisizione di cavalli. Sono tempi di carestia che tocca l'apice nel primo semestre del 1801. Le disposizioni del plenipotenziario Petiet erano volte alla non ingerenza negli affari interni toscani, pertanto i Quadrumviri, che ancora formalmente reggevano lo stato in nome di Ferdinando III, cercarono di sciogliere la Municipalità pistoiese. Paolini rispose ricostituendo la Guardia Nazionale e resistette a queste pressioni anche grazie alla sostituzione, da parte del gen. Miollis, dei “Quadrumviri” con i “Triumviri”, "patrioti moderatissimi". Il pistoiese divenne poi anche capo del Buon Governo toscano.
Ma lo scenario sarebbe di nuovo mutato con la pace di Luneville fra Francia e Austria che, pur lasciando la Toscana nell'orbita francese, la trasformava nel 1801 in Regno d'Etruria.
Sul piano pratico fu una sostanziale riedizione del granducato con Lodovico I di Borbone Parma al posto dei Lorena. I francesi, tramite il gen. Murat, se ne fecero garanti: sciolsero le municipalità e, nell'attesa dell'arrivo del sovrano, richiamarono i Quadrumviri licenziando il Paolini da presidente del Buon Governo. Pistoia ebbe come Gonfaloniere il nobile Francesco Talini; seguirono sei anni tranquilli e una certa ripresa produttiva per cui il cronista poteva annotare nel 1804: "Si gode finalmente di un vivere migliore: il pane si paga tre soldi la libbra…".
Del periodo si ricordano soprattutto due avvenimenti: la visita della Reggente Maria Luisa ed il passaggio del papa Pio VII (8 nov. 1804) diretto a Parigi per l'incoronazione imperiale di Napoleone.
In seguito al trattato di Fontenbleau la Toscana venne annessa nel 1808 all'Impero Francese come Governatorato retto da una Giunta con a capo Cesare Balbo sostituito nel 1809 da Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone. Il Governatorato fu, alla maniera accentratrice francese, diviso in tre Dipartimenti comandati da un Prefetto a loro volta suddivisi in Circondari comandati da un Sottoprefetto che nominava i Maires delle varie località sotto la sua giurisdizione. Dal Circondario di Pistoia, un territorio pressoché equivalente a quello della Diocesi di Pistoia-Prato, dipendevano 18 Mairies: Pistoia stessa, le 4 Cortine pistoiesi, Prato, Monsummano, ecc. Scorrendo i cognomi dei Maires pistoiesi (Rospigliosi, Tolomei, Cellesi, Tonti, Marchetti, Sozzifanti) si nota come ora i Sottoprefetti puntassero piuttosto sul nobilato locale che sui democratici filofrancesi.
In città continuò il clima di stabilità politica e istituzionale contrassegnato da una ripresa dei lavori pubblici e da un certo sviluppo economico che non poté però dispiegarsi pienamente per le conseguenze del blocco continentale. La funzionalità delle nuove norme (codici napoleonici, stato civile, catasto geometrico-particellare, ecc.) produsse la modernizzazione della pubblica amministrazione e della società e creò le premesse per un diffuso consenso.
Tuttavia i francesi, (popolarmente definiti "nuvoloni" dalla pronuncia, nuvolon, delle prime parole, Nous voulons, dei loro avvisi) introdussero anche misure che colpirono la religiosità popolare quali il matrimonio civile, la soppressione degli ordini religiosi e la svendita dei loro beni, quasi tutti accaparrati dal notabilato locale. In particolare impressionò l'invasione napoleonica dello Stato Pontificio e la deportazione in Francia del papa Pio VII. La misura senz'altro più impopolare fu comunque l'introduzione della leva obbligatoria, necessaria per un esercito moderno e sovente impegnato come quello francese, che portò "alla desolazione delle famiglie" pistoiesi, sia perché delle braccia tolte al lavoro dei campi potevano per molti significare la miseria ed anche perché per i coscritti era possibile finire coinvolti nella guerra di Russia e non tornare mai più. L'arruolamento avveniva per sorteggio, ai prescelti era consentito di esser sostituiti pagando adeguatamente un altro giovane: numerosi furono i renitenti ed i disertori, specie fra i ceti popolari.
Col tramonto di Napoleone si concluse nel 1814 l'esperienza "francese", ma per Pistoia e la Toscana la restaurazione non significò, come in altre parti d’Italia, un violento ritorno al passato. Tornarono precedenti ordinamenti, ma furono anche mantenute alcune innovazioni del regime napoleonico (sistema ipotecario, codice di commercio, stato civile, pubblicità dei giudizi, ecc.) che favorirono il successivo evolversi politico-civile della società sotto il governo saggio e tollerante di Leopoldo II.
Carlo Onofio Gori
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postato da: gorca49 alle ore 14:27 | link | commenti (8)
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