Politica. Perché in Italia la “sinistra” non vince? Due modesti, ma significativi, esempi
Perché in Italia vince Berlusconi e la “sinistra” non vince?
Due modesti, ma significativi, esempi
Non sono solito, in questo historiablogori, riprodurre articoli di altri, questo non certo per supponenza intellettuale, ma per una regola che mi sono dato all’inizio, tuttavia, di quando in quando, penso occorra fare alcune doverose eccezioni.
Cito qui, pertanto, due articoli, apparsi sull’ultimo numero (1103) de “Il Venerdì di Repubblica” dell’8 maggio 2009, che mi sembra, “nel loro piccolo”, aiutino a capire perché la sinistra, questa “nostra” attuale “sinistra-Tafazzi” italiana, non abbia vinto, non vinca oggi, né per un pezzo, indipendentemente dall’esito di queste “europee” ed a meno di un improbabile ravvedimento, vincerà. Unica residua speranza: che il “Cavaliere” venga direttamente colpito da un naturale e ferale evento…..
Un posto a Strasburgo per i precari del call center [di Curzio Maltese]
«Pronto, in che cosa posso esserle utile?». Ogni volta che ascolto questa frase al telefono penso alla vicenda dell’ Atesia. L'Atesia e il più grande call center d'Italia, anzi d'Europa. Soltanto nella gigantesca sede.di Cinecittà lavorano ogni giorno quattromila persone e con gli anni ci sono passate due generazioni di romani.
Dietro quelle voci ci sono le vite di ragazzi, vicini, parenti, gente che magari ha cominciato per pagarsi gli studi, poi e rimasta lì per anni e ora deve far quadrare il bilancio di famiglia con poche centinaia di euro. Senza diritti né tutela né rispetto. Quattro anni fa un gruppo di lavoratori dell'Atesia, con un coraggio incredibile, si è rivolto all'ispettorato del lavoro. Dall'ispezione è "emerso un piccolo lunapark degli orrori nell'universo del precariato, fatto di sfruttamento brutale, ogni giorno della settimana, senza feste, senza un giorno di maternità o di malattia garantiti, per un lavoro «a progetto» che e in realtà lavoro dipendente a tutti gli effetti, ma non riconosciuto da nessuno.
Il collettivo dei precari Atesia non contesta ideologicamente la legge 30, detta legge Biagi, come si fa nei salotti radical chic. Al contrario, la considera una buona legge, solo mal applicata. Ma nella battaglia civile per farla applicare si sono ritrovati disperatamente soli. Mollati in fretta dal sindacato, che ha subito trattato al ribasso.
Ignorati dalle forze politiche, anche di estrema sinistra. Fausto Bertinotti, mi racconta Maurizio, uno del collettivo, s'era fatto vedere ai cancelli dell'Atesia solo alIa viigilia delle primarie, per il suo comizio. Quando sono tornati a trovarlo, li ha liquidati con un «fatemi sapere». «Fatemi sapere me lo dice mia madre, lei deve fare qualcosa», gli ha risposto Maurizio.
L'unico che ha sostenuto e raccontato questa straordinaria lotta di lavoratori e stato un attore, Ascanio Celestini. Nonostante l'isolamento, il collettivo è riuscito a vincere e a far assumere con contratto a tempo indeterminato migliaia di precari. Ovvero, ha fatto molto di più di quanto stiano facendo i grandi sindacati nazionali. I suoi membri però hanno perso il lavoro e ora sono sotto processo per aver organizzato uno sciopero non autorizzato.
E non ci sarà nessun Di Pietro o Ferrero o Franceschini a candidarli al Parlamento europeo, dove certo avrebbero molte cose da fare e dire, per salvarli da una condanna ingiusta. La loro storia non ha fatto abbastanza notizia.
Come la sinistra bocciò le liste civiche. pagandola cara. Anzi, carissima [di Paolo Casicci]
Alle Politiche del 2006, l'Unione, che aveva vinto le regionali dell'anno prima anche grazie al contributo dei movimenti locali, cambiò strategia. Il risultato? Lo racconta in un libro un protagonista di quell'occasione mancata
Roma. Corteggiatissima dai partiti quando c' é da riempire le piazze, la «società civile» piace di meno se alza la mano e chiede la parola. Ma quando si organizza in liste civiche alleate del centrosinistra, il contributo e quasi sempre decisivo; è successo nell'era post-Tangentopoli, con la Primavera dei sindaci, e, più tardi, con la vittoria di govematori come Bresso in Piemonte o Marrazzo nel Lazio.
Poi, nel 2006, la grande occasione mancata delle Politiche. La racconta, in un bel libro pieno di retroscena, il coordinatore della Rete nazionale delle liste civiche, Roberto Alagna.
Tra i fondatori nel 2001 della Lista Roma per Veltroni e nel 2005 della Lista civica Piero Marrazzo, determinante per la vittoria alle Regionali contro Storace, Alagna affida a La politica è una cosa troppo seria per lasciarla ai partiti, in uscita per Castelvecchi il16 maggio, la sua verità; se nel 2006 l'Unione avesse accettato la richiesta di apparentamento della rete delle liste civiche, il governo Prodi avrebbe avuto una maggioranza più ampia di quella, risicatissima, ottenuta al Senato. Invece, nonostante quelle liste avessero contribuito nel 2005 alla vittoria nel Lazio, in Piemonte e in Puglia, prevalse la diffidenza verso un fenomeno che non si lascia imbrigliare dalle logiche di partito. Il no all'apparentamento fu motivato da Fioroni della Margherita con il rischio di trasmettere un'immagine troppo frammentata della coalizione. In realtà, dice Alagna, ciò che molti pensavano «era quello che mi disse, convinto, l'ex portavoce di Veltroni, oggi deputato pd, WaIter Verini: "Le liste civiche devono occuparsi di tram e parcheggi. Mica di politica"».
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